Fin dal marzo 1943 nella città di Cuneo si è costituita una sezione clandestina del Partito d’azione. Ne è animatore il giovane avvocato Tancredi “Duccio” Galimberti, repubblicano mazziniano formatosi alla scuola di Gobetti e dei Rosselli. Le riunioni si svolgono nello studio dell’avvocato, affacciato sulla piazza che oggi porta il suo nome: vi partecipano fra gli altri Antonino Repaci, Arturo Felici, Lino Bertolino, Dante Livio Bianco. Il gruppo cerca subito di collegarsi con il gruppo comunista di Borgo San Dalmazzo.
Il mattino del 26 di luglio la folla è riunita in piazza e ascolta le caute parole di un ex ministro che esorta alla calma; Duccio irrompe con foga chiamando immediatamente alla guerra contro i tedeschi e i fascisti. Parla a braccio, il discorso non viene fissato sulla carta: restano poche lucidissime e appassionate parole che si fissano nella memoria degli astanti: “La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa dell’ultima vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella alla tirannia mussoliniana”.
Alla firma dell’armistizio, l’8 settembre, la città resta in preda al disorientamento: ma il gruppo di giovani non esita e il giorno 9 è già in azione. Si presentano infatti alla caserma degli alpini per arruolarsi e combattere contro i tedeschi: ma il generale rimasto senza ordini non sa che fare. Il giorno dopo i giovani azionisti fanno un nuovo tentativo; ma il generale vuole solo evitare disordini. Ai giovani non resta che rassegnarsi allo sfacelo dell’esercito regolare e prospettarsi la “guerra per bande”, nota attraverso gli scritti di Giuseppe Mazzini e di Carlo Bianco di Saint Jorioz.
Esistono però due problemi che i giovani hanno ben presenti: per combattere ci vogliono le armi, ma il generale degli alpini e altri ufficiali non hanno alcuna intenzione di cederle a dei “civili” per di più antifascisti. Un giovane tenente riesce però a impadronirsi di una carretta di armi, che viene avviata verso Peveragno, mentre un altro piccolo gruppo di giovani ufficiali sottrae un camion pieno di armi, e lo avvia verso la montagna. Alcune poche armi affluiscono allo studio dell’avvocato Galimberti, e con quelle cominceranno.
In secondo luogo ci vuole un “esperto” militare in grado di assumere il comando degli aspiranti combattenti, del tutto digiuni di tattica e strategia guerresca; i giovani interpellano due alti ufficiali: entrambi rifiutano sdegnosamente e li cacciano con male parole. Non resta che fare da sé. Lì vicino ci sono le montagne, ben note a quei giovani abituati a passarvi i bei giorni di vacanza. L’11 settembre una dozzina di giovani guidati da Duccio Galimberti sale verso Valdieri e il 12 si installano alla Madonna del Colletto: è la prima Banda “Italia Libera”.
Solo una settimana dopo si svolge il primo scontro con i tedeschi alla Bisalta, presso Boves. Il gruppetto di ex militari è comandato da Ignazio Vian e si batte con coraggio, provocando delle perdite ai tedeschi, i quali, prima di ritirarsi, mettono a ferro e fuoco il paese, massacrando 57 abitanti e bruciando 417 case.
In ottobre si sono già formate diverse bande, distribuite nelle vallate del Cuneese: la banda di Boves e di Peveragno, sulle pendici della Bisalta; in Valle Gesso, una banda formata da ex militari al comando del tenente Ballestreri; presso Borgo San Dalmazzo, un gruppo di elementi locali al comando di un maresciallo; la Banda Italia Libera si è installata a Paralup, fra Valle Stura e Val Grana; in Val Maira un’altra banda formata da ex militari e lo stesso in Val Varaita, dove però i militari saranno presto assorbiti dai garibaldini.
Come nota lo storico Mario Giovana, “tutto il contesto valligiano in cui operavano le formazioni era allo stato precapitalistico e fossilizzato da un isolamento secolare, con particellari proprietà a conduzione familiare, forzatamente ignare di qualsiasi problematica di sviluppo tecnico, rassegnate atavicamente ad un primordiale confronto con la natura e ad una soggezione inerte all’entità lontana e per definizione oppressiva dello stato”.
E questo vale anche per le tre valli più a sud. E rincara Dante Livio Bianco nella sua asciutta rievocazione: “poveri montanari, costretti ad una vita poco meno che da bruti, in condizioni di miseria paurosa”. Non ci sono le grandi masse operaie, e neppure il bracciantato agricolo organizzato, portatori di coscienza politica; eppure, quei quasi bruti, di fronte ai grandi avvenimenti del momento, sanno molto bene che fare: “l’umanità di quei rozzi montanari si risvegliava e vinceva i limiti della dura povertà e della gretta avarizia”. E la solidarietà istintiva, manifestata prima verso gli sbandati si trasferisce poi del tutto naturalmente verso i partigiani.
Le formazioni aumentano rapidamente di numero, accogliendo molti militari sbandati e moltissimi giovani che rifiutano l’arruolamento nelle formazioni della Repubblica Sociale. Le più numerose sono le bande della II Divisione alpina di Giustizia e Libertà; in numero minore le formazioni della I Divisione Garibaldi Piemonte e infine sono presenti pochi gruppi autonomi di ex militari che finiranno riassorbiti nelle formazioni garibaldine.
La loro intraprendenza attira l’attenzione dei tedeschi, che nel marzo 1944 sferrano un grande rastrellamento a tenaglia, con reparti corazzati e colonne di fanteria, che investe tutta la zona. Doveva essere una manovra di annientamento. Mentre alcune formazioni leggere, come in Val Gesso, riescono a filtrare sfuggendo all’attacco massiccio, in Val Grana i partigiani fanno saltare tre ponti e realizzano delle interruzioni stradali in punti strategici. La Valle diventa così un asse intorno a cui possono ruotare le formazioni partigiane, che per otto giorni manovrano difendendosi brillantemente. I tedeschi si ritirano con gravi perdite e i partigiani riescono a sopravvivere alla imponente manovra che doveva annientarli.
I gravi disagi dell’inverno passato in montagna e la durezza dei combattimenti durante il rastrellamento hanno però minato il morale di molti combattenti, e alcuni chiedono una “licenza”. I comandanti reagiscono con fermezza ed energia: chi è stanco e incerto, o avanza dubbi, proteste o pretese, viene allontanato definitivamente dalle unità partigiane.
Nella primavera l’impetuoso sviluppo delle bande e il successo delle loro azioni in montagna spinge i partigiani ad arrischiare puntate verso la pianura, sulle vie di comunicazione più importanti, ai margini delle città. Un documento della Repubblica Sociale mostra la preoccupazione dei responsabili della situazione in Piemonte: si valuta in 20.000 uomini l’entità delle forze partigiane. Sono invece molti di meno: 1.800 gli azionisti, 800 i garibaldini. Quando un gruppo di 50 uomini tenta un’azione – peraltro non riuscita – contro il presidio fascista di Dronero, il comandante Luigi Ventre, “Gigi”, della Val Maira si rende conto della pericolosità della situazione e pone il problema al CLN piemontese: è il caso di spingersi ad attaccare nelle città, rischiando perdite pesanti fra partigiani e civili e gravi danni agli abitati? Il Comando regionale piemontese dopo ampie discussioni, emanerà in luglio delle direttive ispirate alla prudenza.
Sempre in primavera, il 12 maggio, con l’incontro fra un gruppo di comandanti della Val Maira e un gruppo di ufficiali francesi, inizia l’attività internazionale del partigianato cuneese. Dalla Val Maira i partigiani giellisti erano riusciti a mettersi in contatto con la Resistenza francese tramite un ufficiale degli alpini rimasto in Francia dopo l’8 settembre. Al primo incontro ne segue un altro, il 30 maggio a Barcellonette, cui partecipa da parte italiana Duccio Galimberti, che si conclude con la stesura di un accordo di collaborazione “per ottenere i migliori risultati nella lotta contro i nazisti e… per la conquista delle libertà democratiche”. L’accordo non resta sulla carta: i partigiani italiani riforniscono i colleghi francesi di armi (mitragliatrici e un paio di mortai); quando poi in giugno i maquisards insorti devono ritirarsi di fronte all’offensiva tedesca, trovano ospitalità nelle valli cuneesi.
Al sopravvenire dell’estate, la situazione si presenta particolarmente favorevole: sul fronte generale della guerra, lo sbarco in Normandia sembra preludere a una rapida vittoria degli Alleati. Localmente, nelle vallate, i tedeschi non sono presenti, mentre le scarse formazioni radunate dalla Repubblica Sociale sono in pieno sfacelo: il bando per il reclutamento, che scadeva il 25 maggio, aveva fatto affluire numerosi i giovani alle bande partigiane. I lanci alleati in Val Maira e Val Grana hanno contribuito a migliorare l’armamento e l’equipaggiamento dei partigiani. E inoltre gli abitanti delle vallate, che attendono alle normali occupazioni agricole e pastorizie, hanno un’arma a portata di mano e sono rapidamente mobilitati in caso di bisogno. Il loro aiuto sarà fondamentale, specialmente nella fase finale della Resistenza.
Alla fine di giugno del 1944 le valli cuneesi sono interamente occupate dalle formazioni partigiane. In Val Maira è presente la Brigata GL Roberto Blanchi sotto il comando di Luigi Ventre, “Gigi”. Il comando garibaldino si trova a San Damiano. Appena fuori Dronero – abbandonata dai fascisti – sorge il primo posto di blocco, presidiato dalle due formazioni. In Val Varaita i comandi si stabiliscono a Sampeyre, mentre due posti di blocco sbarrano l’ingresso della valle a Venasca. Inizia il periodo delle repubbliche partigiane.
Val Maira
A Dronero subito dopo il 25 luglio si era costituito un Comitato antifascista, presto falcidiato dalla repressione fascista. Dei tre superstiti, due si erano uniti alle bande partigiane della Val Maira, ed erano il socialista Chiaffredo Belliardi e il comunista Mario Scaglione. Ad essi venne affidato il compito di costituire il Comitato di liberazione nazionale di Dronero: subito ebbero la collaborazione del rappresentante del Partito d’azione, Giuseppe Acchiardo, mentre i rappresentanti liberali e quelli del clero declinarono l’invito, giudicando politicamente inopportuno impegnarsi.
Gli stessi uomini procedono alla costituzione del CLN di valle con sede a Macra, che risulta costituito da un rappresentante dei contadini, uno dei commercianti, uno degli esercenti, per avere presenti tutte le categorie. I CLN di valle sono una caratteristica delle valli cuneesi, giacché ogni valle costituiva non solo una entità militare, ma anche una unità economica e sociale con caratteristiche ed esigenze sue proprie. Il CLN di valle si pone come organo di controllo, coordinamento e direzione dei CLN costituiti in ogni comune.
La Relazione sul lavoro svolto in Val Maira delle Brigate Garibaldi bene illumina le difficoltà che si incontrano nel rapporto con i contadini: “Il lavoro da svolgere non è dei più facili: occorre esservi in permanenza per sentire, discutere, visitare le località montane, trattenersi con la popolazione per sentire e conoscere i loro bisogni, le manchevolezze, studiare la possibilità di andare loro incontro, levare quella diffidenza che in linea di massima avvolge l’estraneo che a loro si presenta. Specialmente contro chi abbia accento esotico e non parli il dialetto, rifare insomma ciò che il fascismo ha distrutto: la coscienza e la morale”.
La prima decisione riguarda i podestà nominati dal governo fascista, che non vengono rimossi perché si trattava di persone obbligate ad assumere la carica e prive di legami con i rappresentanti della Repubblica Sociale.
Un provvedimento immediato riguarda il patrimonio boschivo: infatti la mancanza di controlli aveva permesso l’abbattimento indiscriminato di alberi nei boschi di proprietà comunale. Per ordine del Comando di valle, “tutto il legname nel territorio di Macra non può essere rimosso e trasportato sino a quando un incaricato del Comune non ne avrà accertato la provenienza”.
Nella stessa zona si sospende l’erogazione di energia elettrica per due mezze ore ogni sera, in modo che i comandi partigiani possano sintonizzarsi sulle trasmissioni serali di Radio Londra e dei giornali radio.
Come in tutte le altre zone, la prima preoccupazione è per il settore alimentare. Viene istituito il divieto di esportare fuori dalla valle uova, burro, carni macellate, bestiame, pellami, legname da opera e da cartiera (salvo rifornimenti di legna da ardere alle popolazioni che ne abbiano bisogno). Per uova, burro, formaggio, carne si fissano i prezzi e le quantità da distribuire: per esempio, il burro prodotto in valle, dedotte le quote spettanti al produttore per i bisogni familiari, viene consegnato all’ammasso valligiano al prezzo di lire 135 al chilogrammo; viene poi distribuito alla popolazione nella quantità di 250 grammi per persona al mese, al prezzo di lire 150 al chilogrammo. Tolti i quantitativi necessari per gli approvvigionamenti alle formazioni partigiane, si prevedeva che l’eventuale eccedenza venisse inviata al maquis francese, in cambio di sale.
Con cura particolare è regolata la distribuzione della carne: alla commissione apposita partecipano un rappresentante dei contadini, uno dei commercianti, uno degli esercenti, “dovendo il nostro essere un governo di massa che nulla ha a che fare o vedere con quelli precedenti e dare la sensazione di un governo veramente democratico che rappresenti le masse lavoratrici e produttive”, scrive il rappresentante garibaldino. La commissione provvede al censimento del bestiame esistente nella zona, i commercianti sono incaricati di procedere all’acquisto dei capi di bestiame in base alle necessità, e vengono fissati i prezzi. Viene regolato perfino l’ammasso delle budella, da vendere a industrie fuori della valle. Vengono fissate le quantità di carne da fornire alle formazioni partigiane, che prevedono la razione di 200 grammi di carne al giorno per ogni uomo. Non si dimentica di richiedere “la restituzione del sacco in cui il burro era raccolto e la cesta della carne”. Nota lo storico Mario Giovana: “I documenti del CLN valligiano sono stesi con uno stile che denota la massima calma, una serena, impassibile applicazione di criteri di governo quale potrebbe aversi da uomini che operano in condizioni di perfetta normalità. Certe prerogative di pacatezza, di fredda meticolosità nell’assolvere i propri doveri che si vogliono attribuire alla gente piemontese rappresentano il tratto comune a quei piemontesi che nella storia del paese figurano in modo degno per il rigore e la coerenza”.
Il medico Mario Pellegrino (“Grio”) crea a Marmora l’ospedale partigiano: all’organizzazione sanitaria collaborano anche i medici condotti dei paesi.
In materia di ordine pubblico, il CLN organizza subito delle squadre di polizia per la repressione del contrabbando e di altre attività illecite, e per sorvegliare il comportamento dei partigiani, giacché non sono rare le requisizioni abusive a danno dei civili. Collabora inoltre con la magistratura di Dronero per la repressione della delinquenza comune e per le indagini su un duplice omicidio avvenuto nella zona. Per le controversie minori fra gli abitanti della zona provvedono i comandanti partigiani, i quali si ispirano a criteri di equità e anche alle consuetudini che vigono da secoli fra le genti di quelle montagne. Vengono inoltre apprestate delle carceri civili a Prazzo, nella ex caserma delle GAF e con la solita precisione il CLN riferisce come sia stata organizzata l’attività di guardia e il rifornimento del vitto per guardie e detenuti.
E’ già quasi la fine di luglio, il 30 si scatena il rastrellamento nazifascista e nei paesi della valle divampano gli incendi; niente è risparmiato: case, chiese, municipi, scuole, magazzini di viveri, tutto brucia.
L’esperienza della zona libera finisce, ma non finisce certo l’azione partigiana, che in un primo tempo si dedica ad aiutare la popolazione e poi prosegue la sua battaglia contro i nazifascisti. Rilevante dal punto di vista della vita civile l’azione di difesa delle centrali idroelettriche di Dronero Tetti, San Damiano, Ponte Marmora, Acceglio.
Nella cronaca della zona libera merita di essere ricordata la storia della tipografia installata sulle coste rocciose della val Varaita. Il CLN di fabbrica delle Cartiere Burgo di Verzuolo aveva fatto pervenire alla II Divisione Giustizia e Libertà una macchina per stampa, una “pedalina” che venne installata a Marmora e affidata a un tipografo, Gregorio Boldrino, assistito da alcuni volontari e da partigiani convalescenti. Venne pubblicato il “Notiziario dei Patrioti delle Alpi Cozie”, due giornali di brigata, “Quelli della montagna” e “La Grana”, nonché un foglio intitolato “Naja repubblichina”, indirizzato alle truppe delle divisioni fasciste Littorio e Monterosa, di stanza nelle valli Varaita, Maira e Stura.
Val Varaita
Abbiamo rammentato che a Cuneo un gruppo di giovani appena usciti dal corso per ufficiali di complemento degli alpini, e che già gravitavano nell’area del Partito d’azione, aveva sottratto un camion di armi e si era diretto verso la Val Grana. Del gruppo fanno parte Benedetto Dalmastro, “Detto”, che di fatto ne è il comandante, Luigi Ventre, “Gigi”, e Giorgio Bocca, “Giorgio”, un nome destinato a vasta notorietà. Nel gennaio del 1944, dopo uno dei primi rastrellamenti nazisti, la formazione – di molto accresciuta – ripiega nella Val Varaita e in luglio si insedia a Pradleves, dove si costituiscono la I e II Divisione Giustizia e Libertà. E’ presente anche l’XI Divisione Garibaldi, al comando di Mario Morbiducci, “Medici”.
I commissari politici garibaldini danno impulso alla formazione di Giunte popolari comunali, che si costituiscono nei centri di Brossasco, Venasca, Melle e Fassino. Un’operazione difficile in quanto il feroce rastrellamento nazista del marzo aveva terrorizzato la popolazione, che era stata poi ulteriormente vessata da fenomeni di banditismo e grassazione compiuti da gruppetti inseritisi ai margini dell’attività partigiana e contro i quali le bande garibaldine non erano riuscite a intervenire con tempestività. Ci furono difficoltà anche per costituire il CLN di valle, che entrò in attività a Sampeyre solo il 5 di agosto. Il primo punto all’ordine del giorno è la questione dei rifornimenti, il secondo l’ordine pubblico.
Per l’approvvigionamento, la normativa ricalca quella della Val Maira per quanto riguarda l’ammasso dei prodotti agricoli, il divieto di esportazione di generi alimentari, la fissazione dei prezzi di uova e burro. Estremamente precisa anche qui la regolamentazione della distribuzione della carne.
Per quanto riguarda l’ordine pubblico, viene istituito un corpo di polizia da insediare nella ex caserma dei carabinieri di Sampeyre, con distaccamenti a Melle e Casteldelfino.
Ma fra la stesura di questi documenti e il rastrellamento che investirà la Val Varaita il 21 agosto passano solo due settimane: troppo poco per dare al CLN e alle Giunte delle possibilità di effettivo funzionamento e di porsi come referenti autorevoli di fronte alla popolazione.
Valle Stura, Gesso e Grana
Le valli Gesso, Stura e Grana costituiscono il II settore della provincia di Cuneo, in base alla divisione stabilita dal CLN del Piemonte. Vi sono dislocate tre Bande Italia Libera: il comandante militare è un ufficiale in S.P.E. dell’esercito, Ezio Aceto, il commissario politico è Dante Livio Bianco, del Partito d’Azione.
Il 24 giugno la Valle Grana viene bloccata al ponte di Santa Maria e resta tutta quanta sotto il controllo partigiano. Il 18 luglio parte l’azione per occupare la Val Gesso, che viene bloccata agli stretti di Andonno, a poca distanza dal grosso centro di Borgo San Dalmazzo.
A questo punto scoppia un gravissimo problema politico all’interno delle formazioni partigiane: mentre Bianco tende a far confluire le Bande Italia Libera nella costituenda I Divisione di Giustizia e Libertà, il comandante Aceto rifiuta decisamente quella svolta politica, che gli sembra poco opportuna data l’impreparazione politica dei partigiani e della popolazione.
La crisi è grave e Bianco la risolve con un atto di forza, costringendo Aceto alle dimissioni. Il comandante con pochi fedelissimi si arrocca in alta Valle Stura e si sfiora lo scontro armato. Poi il buon senso prende il sopravvento, e il comandante Ezio Aceto abbandona la valle. Viene sostituito da Nuto Revelli.
Le obiezioni di Aceto non sono peraltro infondate, e Bianco sollecita il centro di Torino perché gli venga inviato materiale a stampa per l’educazione politica dei suoi partigiani e della popolazione.
Intanto urgono anche i problemi di amministrazione della zona liberata: bisogna creare degli organi democratici, ma in realtà i podestà della zona non si sono distinti per la loro fedeltà al fascismo: il podestà di Pradleves ospita nel suo albergo gli stessi partigiani. I podestà restano perciò in carica.
A Demonte si crea un CLN eletto tramite un’assemblea, che peraltro durerà solo pochi giorni. Qui ha sede anche un “tribunale straordinario di guerra”, che emette due sentenze di morte: una a carico di un ufficiale fascista riconosciuto colpevole di alto tradimento; e un’altra a carico di due partigiani riconosciuti colpevoli di furto e diserzione. Per i reati civili giudica un tribunale composto da due partigiani e un civile di buona fama del comune dove il fatto è avvenuto: un giovane viene condannato a risarcire i danni per aver sedotto una ragazza che aveva partorito un bimbo nato morto; e a Castelmagno è il parroco stesso, don Denina, a richiedere l’intervento di Alberto Bianco per dirimere una lite familiare.
Ed è precisamente in questo campo che la zona libera del Cuneese darà la miglior prova di sé, formulando un ampio (per quel tempo e quelle situazioni) regolamento di polizia e di procedura giudiziaria, improntato al più rigoroso rispetto della persona umana: “In nessun caso e da parte di nessuno, le persone arrestate e fatte prigioniere dovranno essere sottoposte a violenze, maltrattamenti, ingiurie o sevizie”. “Qualora… si debba procedere all’applicazione di pene corporali… debbono evitarsi tutte quelle iniziative… che possono offendere il pudore, la sensibilità e la dignità sia di chi si trova a dover assistere, sia del colpevole stesso”. E qui si mette in luce il lucido rigore morale dei partigiani, i quali si dimostrano coscienti che la tortura e i maltrattamenti degradano chi li impartisce come chi li subisce.
Anche qui la questione più urgente è quella dell’approvvigionamento, sia per le popolazioni che per i partigiani, che ammontano a circa un migliaio. Le valli non possono più ricevere rifornimenti di farina e granaglie, per ordine dei comandi fascisti. In Val Gesso, come contromisura, viene vietata l’esportazione di legname e di patate, e si dispone l’ammasso dei cereali prodotti sul posto. In Val Grana, che è poverissima e non dispone di cereali, i partigiani cercano di rifornire la popolazione mediante colpi di mano in pianura, e mediante scambi con latte e latticini o capi di bestiame. Viene anche applicata una tassa del 10% sulle esportazioni, soprattutto del formaggio di Castelmagno, famoso ancor oggi. In valle Stura si prendono provvedimenti analoghi; in materia fiscale, si decide di riscuotere le tasse e tenerle in zona invece di versarle, come d’uso, a Cuneo: questo anche per danneggiare le finanze fasciste.
La popolazione collabora con i partigiani anche per i trasporti e per l’apprestamento di opere militari. In Val Gesso sono mobilitate un centinaio di persone, falegnami, elettricisti, carrettieri, muratori, per la posa di reticolati e altre opere difensive.
E’ importante predisporre le difese in vista di un immancabile attacco. Infatti il 15 agosto in Provenza sbarcano le truppe alleate. Il comando tedesco deve tenere aperti i valichi alpini per favorire la ritirata delle divisioni stanziate nel sud della Francia. La Valle Stura viene attaccata il 17 agosto. Dopo una settimana di aspri scontri la Valle Stura e la Val Gesso vengono occupate dai tedeschi. La Val Grana resta scoperta sui due fianchi e le unità partigiane decidono di togliere il blocco e di ritirarsi. L’estate di libertà è finita, ma resterà incisa nella memoria di tutti coloro che la vissero.