La Valle prende il nome dal fiume Sesia, affluente del Ticino, che nasce alle pendici del Monte Rosa. Il territorio si trova in provincia di Vercelli, ma comprende anche tre comuni della provincia di Novara, cioè Romagnano Sesia, Prato Sesia e Grignasco. Ha un’estensione di 763 chilometri quadrati e vi abitavano circa 40.000 persone.
L’economia d’alta quota è molto povera, legata più alla pastorizia che all’agricoltura. Ma allo sbocco della valle nei comuni di Borgosesia, Varallo Sesia e Serravalle si trovano insediamenti industriali tessili, metalmeccanici, cartai e del legno, con una tradizione di movimento sindacale animato da socialisti, comunisti e cattolici.
A Borgosesia era presente Vincenzo (Cino) Moscatelli, dirigente del Partito comunista e con un passato di cospirazione e di carcere. Il 9 settembre del 1943 i comunisti del luogo lanciano un manifesto che chiama allo sciopero generale e alla lotta armata, e si tiene la prima riunione del Centro valsesiano di resistenza, che diventerà poi il CLN della valle. Presto arriva Pietro Secchia, altro componente della direzione del Partito comunista, di origine biellese. E arriva anche Eraldo Gastone, un ufficiale dell’aeronautica proveniente dal Novarese, che reca con sé un importante carico di armi sottratte alle caserme.
Il CLN assiste circa 100 ebrei perseguitati, 500 ex prigionieri alleati e centinaia di soldati allo sbando. Si formano altresì i primi nuclei partigiani – circa 100 combattenti divisi in tre gruppi – che danno vita alle formazioni Garibaldi della Valsesia. La reazione nazifascista si sviluppa subito e nel dicembre 1943 a Borgosesia i militi fascisti catturano dieci giovani antifascisti, che vengono seviziati e uccisi sulla piazza. Per tutto l’inverno e la primavera successiva si susseguono i rastrellamenti e gli assassini, ma le bande partigiane si ampliano e rafforzano e la loro azione diventa sempre più audace.
Ai primi di giugno le truppe nazifasciste che presidiano Borgosesia e Varallo Sesia, pressate dalla forte offensiva partigiana, abbandonano le loro posizioni. Il giorno dopo, 12 giugno, la VI brigata Garibaldi, forte di 300 uomini, entra sfilando per le vie di Borgosesia. “Stracciati come zingari, scalzi, ossuti, entusiasti” li descrive Moscatelli in una lettera scritta due giorni dopo.
La Valsesia è libera. Contrariamente alle indicazioni date dal CLN Alta Italia e ribadite dal Partito comunista, non si procede all’elezione di organismi amministrativi civili, data la precarietà della situazione militare e l’alta probabilità di un rapido contrattacco nemico. L’amministrazione resta nelle mani dei CLN sorti nelle varie località, cui viene affiancato un Commissario civile. I podestà di nomina fascista non vengono neppure destituiti, quando non siano troppo compromessi con il regime.
Anche qui la questione fondamentale è quella dell’approvvigionamento della popolazione, che sarebbe diventato assai difficile per via dei blocchi imposti dal nemico. Viene subito abolito l’ammasso fascista, vengono fissati i prezzi dei prodotti di prima necessità e ne viene controllata la vendita, per poter battere il fenomeno del mercato nero e della speculazione. Dopo soli pochi giorni, ogni persona, civile o partigiano che sia, riceve una razione quotidiana di 450 grammi di pane, 300 grammi di riso, 20 grammi di grasso, 200 grammi di carne, un quarto di litro di vino. Periodicamente vengono distribuiti anche marmellata, miele, frutta e formaggio. Nelle fabbriche si organizzano mense non solo per gli operai, ma anche per disoccupati e bisognosi. Viene curata anche la distribuzione della legna.
Vengono riorganizzati i servizi di posta, telefono e comunicazioni. I servizi di sanità possono appoggiarsi sugli ospedali di Varallo e Borgosesia, ma viene anche istituito un ambulatorio gratuito per i civili, nel quale prestano assistenza alcuni medici partigiani. Vengono organizzati dei corsi rapidi per infermieri di pronto soccorso, con cui si preparano alcune giovani reclute partigiane ancora prive di armi. A Borgosesia sono requisite alcune ville che diventano colonie estive per i bambini e centri di ricovero per vecchi.
Si cerca di animare un nuovo risveglio della cultura: i comandanti partigiani tengono varie conferenze su “argomenti patriottici”, a Varallo si ha un concerto della banda musicale e il maestro Righini compone l’inno della VI brigata Garibaldi che viene insegnato a tutti i combattenti. Funziona anche un “ufficio artistico” che si occupa di preparare cartelloni di propaganda, cartoline, francobolli, e disegna mostrine e bracciali per i vari corpi partigiani. Con eccezionale lungimiranza, i garibaldini chiedono al Comando generale di inviare dei fotografi per documentare le loro azioni. Ma i fotografi non arriveranno mai e la documentazione fotografica della Resistenza resta affidata alle iniziative dei singoli. Bisogna però notare che nella vicina Valdossola, nella brigata garibaldina “X Rocco”, il commissario politico Luciano Raimondi, “Nicola”, stabilisce il divieto di riprese fotografiche, perché se pervenute nelle mani dei nazifascisti avrebbero potuto permettere il riconoscimento di persone e luoghi e favorire rappresaglie e rastrellamenti.
A Borgosesia funziona una sartoria organizzata industrialmente che fornisce centinaia di divise con la stoffa requisita negli stabilimenti tessili della zona. Due calzaturifici di Grignasco e Valduggia forniscono 200 paia di scarpe al giorno.
Sono particolarmente delicati i rapporti con gli industriali della zona, i quali vengono convocati in municipio e ricevono disposizioni precise di non effettuare alcuna lavorazione o fornitura per i tedeschi, di non pagare alcuna tassa alla Repubblica Sociale, e di tenere il relativo importo a disposizione del governo legittimo del CLN. Da parte loro, i comandi partigiani si impegnano ad assicurare alle fabbriche la possibilità di lavorare indisturbate, senza alcun atto di sabotaggio.
Per la giustizia, al pretore esistente viene affiancato un Commissario giudiziario, l’avvocato Mario Zacquini, e viene deciso che le sentenze saranno emanate in nome non del re, ma del Comitato di Liberazione Nazionale. Le funzioni di polizia e i reati di carattere militare restano di competenza del comando partigiano.
Tutto questo lavoro viene svolto in meno di un mese. Il 2 di luglio parte una grande offensiva nazifascista per riconquistare la Valsesia. Le formazioni partigiane sono in grado di resistere solo tre giorni, poi sono costrette a sganciarsi e disperdersi in piccoli gruppi che peraltro continuano l’azione di guerriglia in pianura, alle spalle del nemico. Lo scontro è molto aspro, 12 partigiani cadono in combattimento, 16 (di cui 14 carabinieri) vengono catturati e fucilati ad Alagna. I nazifascisti perdono un centinaio di uomini tra morti e feriti. Ciò provoca una feroce rappresaglia a Borgosesia, nelle frazioni di Rozzo e Lovario, dove 20 civili vengono trucidati.
Il grosso delle formazioni partigiane si sposta verso le pianure del Vercellese e del Novarese, ma il comando resta nel piccolo comune di Valduggia, preso Borgosesia. Il complesso delle formazioni garibaldine della Valsesia resiste bravamente e costituisce uno degli elementi più forti e attivi della Resistenza piemontese, con un livello altissimo di organizzazione e di efficienza. La primavera successiva, nella fase insurrezionale del 1945, le unità della Valsesia liberano prima l’intera valle, poi la città di Novara, dove ottengono la resa di migliaia di soldati tedeschi, e infine partecipano alla liberazione di Milano.