Stampa partigiana

 

I giovani che si uniscono alle bande partigiane, sulle montagne, fra fame, fughe e disagi di ogni genere, sperimentano una nuova libertà inebriante: quella di esprimersi. Ovunque nascono fogli, bollettini, giornaletti e giornali su cui i giovani esercitano senza censura la loro riflessione e la loro critica. Dalla autobiografia dell’allora giovanissimo partigiano Guido Petter (“Ci chiamavan banditi”), il racconto della nascita di un giornale presso la Decima Brigata Garibaldi “Rocco” in Ossola.

 

Il commissario Nicola sta parlando agli uomini del battaglione. La sua voce è calma, penetrante: “Io parlo a vecchi partigiani, che hanno vissuto le vicende dell’Ossola, ma so di parlare anche ad alcuni che sono qui da pochi giorni. Ebbene, la regola prima della guerra partigiana è l’alleanza con la popolazione. Se la gente ci aiuta, ci protegge, noi possiamo vivere, altrimenti siamo perduti. Un’altra regola è l’azione fulminea. Non siamo armati per attacchi frontali, ma per una guerriglia mobile: attaccare all’improvviso e ritirarsi immediatamente, essere già lontani quando si scatena il contrattacco. E poi, terza regola, l’autodisciplina. Bisogna che ognuno capisca perché deve fare certe cose, e le faccia bene e fino in fondo, anche se su di lui non c’è più nessun controllo da parte di qualche comando”.

La voce di Nicola si fa più viva e intensa.

“Quattro giorni fa abbiamo avuto un attacco a Cesara. Cinque vostri compagni sono morti, e morti male, intrappolati nel sonno, e sapete perché? Non è stata solo per la spiata, avrebbero potuto salvarsi tutti se fosse stato dato l’allarme. Ma chi era di guardia si è lasciato cogliere dal sonno. Subirà un processo come è giusto. Ma intanto per lui sono morti in cinque. Questo ha voluto dire un’autodisciplina insufficiente”.

“E’ vero – dice sottovoce un partigiano alto e secco – peccato che non siano tutti qui a sentirle, certe cose. Bisognerebbe scriverle”.

“Hai ragione – dico – bisognerebbe scriverle”.

“Queste e altre. Le cose che si devono fare, le azioni compiute, che si raccontano ma poi vanno dimenticate. Bisognerebbe avere un giornale, ecco, e qualcuno che sapesse scriverlo”.

Guardo più attentamente il mio vicino: ossuto, con la fronte spaziosa per un inizio di calvizie, due baffi biondi. Porta uno Sten appeso alla spalla, dunque dev’essere qui da tempo. Si chiama Generale.

“E’ vero – riconosco – anche perché certe cose, a sentirle dire una volta uno non le capisce subito. Se le legge e le rilegge, gli entrano in testa”.

“Vedo che mi capisci. E’ una cosa che io ho già detto varie volte, ma nessuno mi dà retta. Dicono che non c’è modo di stamparlo. Ma che bisogno c’è di stamparlo? Basta scriverlo a macchina”. “Il male è – riprende Generale – che io non so scrivere a macchina. Altrimenti avrei già cominciato. Ma non se ne farà niente, vedrai”. Le osservazioni di Generale mi hanno dato un’idea che probabilmente piacerà a Nicola.

Il colloquio con Nicola è breve ma proficuo. Ho sentito in lui fin dal primo momento una forte e rara personalità; e constato adesso che è anche una persona capace di ascoltare, che non giudica le idee dall’età di chi le propone. “Nel discorso che hai fatto – gli dico – hai detto cose molto importanti. Generale dice che bisognerebbe scriverle, queste ed altre: bisognerebbe fare un giornale”.

“Generale ha ragione”, osserva Nicola. Si toglie gli occhiali e li pulisce con un fazzoletto. “Ma come si fa, nelle nostre condizioni? Oggi siamo qui, domani siamo chissà dove”.

“Non dico un giornale vero, stampato. Ma un giornaletto, un bollettino, Una cosa fatta a macchina, con carta carbone. Dieci, venti copie, da far girare”.

“Già – dice lui – un giornale di battaglione, o anche di brigata. Ma chi se ne occuperebbe?”

“Io. E sicuramente anche Generale”.

“E’ una buona idea. Pensaci, cerca di elaborarla. Ne parlerò ad Andrea”. Nicola se ne va subito, pressato da altri impegni. Io resto a pensare al giornale scritto a macchina con l’aiuto di Generale e forse di altri…

Approfitto di alcuni giorni di calma per progettare e preparare il giornale. C’è anzitutto il problema del titolo. La formazione si era chiamata “Volante azzurra”; ora è la 10° Brigata Rocco. “Volante azzurra” potrebbe essere il titolo, o “Staffetta azzurra”, come Nicola suggerisce. Con un sottotitolo: “Giornale della 10° Rocco. Esce come può e quando può”. E il contenuto? Prima di tutto un editoriale, per esempio le cose dette da Nicola. Poi il bollettino delle azioni. E poi notizie informative e le interviste ai compagni più anziani, i loro ricordi, le loro esperienze. Generale suggerisce di pubblicare anche, una per numero, le canzoni che cantiamo. E poi anche delle poesie. Marco pensa che un po’ di spazio si può riservare alle tecniche sull’uso degli esplosivi.

Durante un’azione ad Arona, contro un magazzino fascista, Generale scopre una macchina da scrivere portatile.

La macchina da scrivere è malandata, manca di un paio di lettere, la x e la m. La x è poco importante, la m invece molto. Decido di usare al suo posto la n, e di aggiungere poi a mano una gambetta. La macchina ha un altro difetto: in modo imprevedibile, ogni tanto il carrello scatta di alcuni spazi e le parole restano tagliate in due parti. Ma non è scritto, nel sottotitolo, che il giornale “esce quando può e come può”?

E il giornale esce davvero. Batto i bollettini e un paio di articoli già preparati, la canzone portata da Generale, il resoconto dell’azione cui ho partecipato, servendomi di carta carbone per fare molte copie; poi do i fogli a Matteotti perché metta le gambette a tutte le m. Il titolo lo disegno a matita azzurra, contornando poi a penna le lettere. Mi faccio prestare una cucitrice per unire le pagine. Faccio poi con Matteotti il giro delle tende per distribuire quel primo numero, che i partigiani si contendono, e comincio a battere altre copie per gli altri due battaglioni della Brigata, da affidare alle staffette.