Una preoccupazione comune a tutte le zone libere, grandi o piccole, civili o partigiane, è la sanità pubblica: si tratta di riattivare i servizi sanitari comunali – ricordiamo che anche i piccoli comuni dovevano allora provvedere al servizio di medico condotto e di ostetrica – necessari sia per la popolazione che per i partigiani feriti. Non è difficile farlo nelle grandi aree, dove si trovano ospedali in grado di operare normalmente: è il caso di Domodossola, dove il presidente della giunta, Ettore Tibaldi, è un medico. Ma anche nella lontana Val Maira, nel Cuneese, il medico partigiano Mario Pellegrino, “Grio”, crea un ospedale partigiano, per la quarta volta dopo che tre sono stati distrutti dai nazifascisti; all’ospedale collaborano anche i medici condotti dei paesi vicini.
Nella zona dell’Alto Tortonese, la giunta popolare riesce a riattivare un piccolo ospedale a Rocchetta Ligure e ad allestire un’infermeria a Borgo Adorno. In Liguria, nella Val di Vara, per le cure mediche vengono chiamati anche i medici sfollati dalle città, che affiancano i medici condotti dei paesi e quelli aggregati alle unità partigiane. Qui, come nella grande repubblica di Montefiorino, viene esplicitamente statuito che le cure mediche sono aperte a tutta la popolazione e gratuite: una misura che l’Italia repubblicana prenderà infine nell’anno 1980. In Carnia, il CLN della Val Tagliamento propone la riduzione del 40% del prezzo dei medicinali.
Anche a Bobbio si trova un ospedale regolarmente funzionante che può continuare a operare, mentre nell’ambito di Montefiorino viene allestito un nuovo ospedale a Fontanaluccia, prelevando qualche decina di letti da un albergo vicino: il direttore sanitario, dottor Luigi De Toffoli, riesce ad attrezzare perfino una piccola sala operatoria. Vengono allestite anche infermerie periferiche e convalescenziari per i partigiani feriti.
Ad Apuania (cioè Carrara), in Toscana, il CLN, in collaborazione con le unità partigiane, organizza il continuo attraversamento della linea del fronte per rifornire di medicine l’ospedale cittadino. Contemporaneamente si provvede a passare ai Comandi alleati preziose informazioni sullo stato e sui movimenti delle truppe tedesche.
Nelle zone libere più piccole risulta difficile organizzare strutture sanitarie complesse come un ospedale, ma ai partigiani non mancano le risorse di inventiva e capacità organizzativa: vengono infatti attrezzati degli “ospedali diffusi”, cioè una rete di case private che mettono a disposizione delle stanze destinate alla cura di malati e feriti, che i medici e gli infermieri passano regolarmente a visitare e medicare. E’ il caso della micro repubblica di Osiglia, secondo la testimonianza dell’allora commissario politico Giovanni B. Urbani, “Candido”, e anche della Valsesia, secondo la testimonianza orale della staffetta Wanda Canna, la cui casa faceva appunto parte della rete.