Repubblica sociale italiana

 

Detta anche Repubblica di Salò, venne istituita nell’Italia occupata dalle truppe di Hitler, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. I generali tedeschi invero avrebbero voluto per l’Italia l’occupazione militare pura e semplice, allo scopo di trarne tutti i benefici possibili in termini di manodopera, materiali e derrate. Ma fu Hitler a volere che Benito Mussolini venisse liberato e si ponesse a capo di una nuova organizzazione statuale, perché il crollo definitivo del fascismo avrebbe avuto effetti negativi anche per il nazismo, sia sul piano ideologico che propagandistico.

Mussolini, subito dopo l’8 settembre, era stato detenuto nella caserma dei carabinieri di Roma. Da qui venne trasferito a Ponza, piccola isola dove lui stesso aveva creato una colonia penale per antifascisti. Per evitare che fosse liberato dai tedeschi, venne trasferito a Campo Imperatore in Abruzzo, sempre sotto il controllo dei carabinieri. Fu qui che venne raggiunto da una squadra di paracadutisti tedeschi che lo imbarcarono sul loro aereo, senza che i carabinieri accennassero alla minima resistenza.

Giunto a Berlino, dove già si erano rifugiati vari gerarchi fascisti, Mussolini concordò con Hitler i piani per il futuro. Il primo passo doveva consistere nella ricostituzione del partito fascista; doveva seguire la ricostruzione di uno stato, dotato di una nuova Costituzione e di proprie forze armate con le quali riprendere la guerra al fianco della Germania, vendicarsi contro i traditori fascisti e monarchici e combattere il comunismo.

Il 18 settembre, ancora in Germania, Mussolini annunciò dalla radio di Monaco di Baviera la nascita della Repubblica sociale italiana. Gli italiani la definirono subito “la repubblichina” e i suoi seguaci “repubblichini”, intuendo subito la pochezza di questo organismo statuale al servizio dello straniero. Secondo Mussolini, il nuovo stato doveva tornare ai principi socialisti delle origini del fascismo, basandosi sui lavoratori, doveva istituire i “consigli di gestione” nelle fabbriche e “socializzare” le grandi imprese.

Subito dopo il discorso di Mussolini, vengono inviati a Roma due gerarchi, Alessandro Pavolini e Guido Buffarini-Guidi, con l’incarico di ricostituire un governo fascista nella capitale, già occupata dalle truppe tedesche. Ma gli Alleati, sbarcati in Sicilia dal luglio precedente, stanno risalendo lo stivale: è più prudente per i fascisti tenersi vicino a Hitler; è così che la sede del governo viene fissata sul lago di Garda, a Salò, al confine delle terre che i tedeschi stanno annettendo direttamente al Reich, l’Alpenvorland e l’Adriatisches Kustenland, un ampio territorio che andava da Trento a Lubiana.

Il 27 settembre, tornato Mussolini in Italia, si insedia il nuovo governo, composto da: Mussolini stesso quale capo del governo; Guido Buffarini-Guidi agli interni; Domenico Romano ai lavori pubblici; Antonino Tringali Casanova, ex presidente del Tribunale speciale fascista, alla giustizia; Giampiero Pellegrini alle finanze; il maresciallo Rodolfo Graziani alla difesa; Silvio Gai all’economia corporativa; Edoardo Meroni all’agricoltura; Alberto Biggini all’educazione nazionale;Augusto Liverani alle comunicazioni; Fernando Mezzasoma alla cultura popolare. Ne faceva parte infine anche Alessandro Pavolini, segretario del rinato partito fascista repubblicano.

Due compiti si presentavano con urgenza alla nuove autorità: dovevano creare un esercito e stabilire un soddisfacente controllo sul territorio.

Per l’esercito, Graziani tendeva alla ricostituzione di un esercito tradizionale, ma era avversato da Pavolini e Renato Ricci, comandante della Milizia fascista, fautori del completo controllo del partito sulle forze armate. Entrambe le fazioni vengono sconfitte dalla dura realtà: dei 600.000 soldati italiani detenuti in Germania, solo circa 50.000 accettano di arruolarsi sotto le bandiere di Salò, inquadrati nei battaglioni “San Marco” e “Monterosa”; ma appena tornati in Italia circa la metà diserta e molti altri passano a combattere con le formazioni partigiane. I bandi di leva hanno un completo insuccesso, e quando Graziani nella primavera del 1944 minaccia la pena di morte per i renitenti, ciò serve solo ad aumentare le fila dei partigiani. Le forze armate salotine diventano un agglomerato di bande criminali che spargono il terrore, come la legione Ettore Muti a Milano, la banda Koch a Roma, la banda Carità a Firenze. A La Spezia il principe Junio Valerio Borghese inquadra in modo autonomo nella X Mas alcune migliaia di uomini, ma si rifiuta di obbedire agli ordini della Repubblica sociale e tratta direttamente con i tedeschi. I carabinieri e la Polizia Africa italiana erano stati fusi con la Milizia fascista per formare la Guardia nazionale repubblicana, ma la grande maggioranza dei carabinieri aveva preferito fuggire o farsi deportare, oppure unirsi ai partigiani.

Il controllo del territorio diventa così molto difficile, il movimento partigiano si amplia e si rafforza e per l’estate del 1944 fioriscono le zone libere e le repubbliche partigiane su tutto l’arco alpino-appenninico. Perfino nel territorio del Litorale Adriatico, sotto diretto controllo tedesco, nasce e vive per tre mesi la zona libera della Carnia. Anche nelle città e nelle fabbriche il popolo e gli operai non danno alcuna credibilità alle pretese “socializzanti” della nuova repubblica. A parte l’ostilità degli industriali, il tentativo fascista di indire nelle fabbriche le elezioni per la nomina delle commissioni interne procura una delusione bruciante: l’assoluta maggioranza degli operai si astiene dal voto o scrive sulla scheda frasi di scherno ed evviva per la Resistenza. Inoltre l’incapacità di organizzare i rifornimenti di viveri per le grandi città e la crescita del mercato nero, su cui si basa l’economia del nord, sono un chiaro segnale dell’inconsistenza della Rsi come stato.

Le ruberie e le stragi naziste – spesso guidate da fascisti italiani – rendono chiara la funzione di “servi del nemico” dei repubblichini, i quali, in una disperata difesa, trasformano tutti gli iscritti al partito in militi, organizzati nella “Brigate nere”, una ennesima formazione dedita a massacri e crudeltà.

Si rende sempre più chiaro lo scopo per cui la Repubblica sociale italiana era stata voluta da Hitler: servirsi dei “repubblichini” come ausiliari per rapinare risorse umane, industriali e agricole per il Reich millenario, ormai ridotto al lumicino. Di fatto il “bottino di guerra” ottenuto dai tedeschi in Italia è assai ricco: si calcola in sette miliardi di lire al mese nel 1943, dieci nel 1944, dodici miliardi al mese nel 1945, più l’oro della Banca d’Italia; a cui vanno aggiunti il lavoro degli italiani alle dipendenze dei tedeschi in Germania e in Italia, il saccheggio delle risorse agricole e la produzione industriale bellica.

All’inizio del 1945, Mussolini si trasferisce a Milano e nel disperato tentativo di salvarsi cerca di contattare elementi del partito socialista e perfino del CLN Alta Italia, con la mediazione del cardinale di Milano, Ildefonso Schuster. Visti inutili i suoi tentativi, e avvertendo ormai prossima la fine, decide di fuggire verso la Svizzera. La storia lo raggiungerà a Giulino di Mezzegra, alla fine di aprile del 1945.