Osiglia e il Savonese

Tutta la fascia costiera ligure era attentamente presidiata dalle forze nazifasciste e considerata “fronte di guerra” giacché era verosimile che si verificasse uno sbarco degli Alleati in Liguria. Nel ponente ligure, i tedeschi avevano provveduto a costruire fortificazioni munite di cannoni e mitragliatrici, per assicurare il controllo dei centri abitati e delle vie di comunicazione. Lungo la ferrovia fra Savona ed Albenga viaggiava un treno blindato, completo di cannoni e mitragliatrici antiaeree, e un altro simile viaggiava fra Savona e Fossano, giacché anche l’entroterra rappresentava una zona importante da tenere sgombra da insediamenti partigiani.

Malgrado tutte le precauzioni prese dai tedeschi, volonterosamente aiutate da Brigate Nere, Guardie repubblichine e Divisione San Marco, i partigiani riuscirono a insediarsi nell’entroterra e a svolgervi efficaci azioni contro le vie di comunicazione, i presidi, i depositi.

La presenza partigiana nell’entroterra propizia anche qui le esperienze di autogoverno locale: la prima si realizzò a Giustenice, paese della provincia di Savona, che aveva allora circa 800 abitanti. A soli 5 chilometri da Pietra Ligure e a 146 metri sul livello del mare, vi si era radunata una banda di 70 giovani sotto la guida di Tommaso Carpino, “capitano Tom”, poco collegato con altre formazioni partigiane e con i rappresentanti del CLN.

Nella primavera del 1944 venne nominato un “Delegato provvisorio al Comune” nella persona del vicecomandante “Kid”. La zona godeva di una buona autosufficienza alimentare, e il Delegato si incaricò dell’ammasso, razionamento e distribuzione di latte, olio, grano, legumi e carne prodotti localmente. Il Centro profilattico provinciale di Pietra Ligure era rimasto in difficoltà per la scarsità di risorse alimentari, e “Kid” poté aiutarlo inviando patate, latte, legumi e olio.

L’esperimento durò 50 giorni; un rastrellamento e un breve scontro armato fecero disperdere la banda, che mai più si ricostituì.

 

L’esperienza forse più importante si verificò a Osiglia, un comune situato in provincia di Savona, nell’alta valle del torrente Osiglietta, affluente della Bormida, a circa 700 metri di altitudine. Nel 1936 contava 1.100 abitanti, oggi soltanto 469. La zona è caratterizzata dalla presenza di un bacino artificiale lungo circa 3 chilometri, scavato fra il 1937 e il 1939 allo scopo di alimentare la centrale elettrica di Cairo Montenotte. Oggi è meta di turisti che accorrono nella zona sia per la presenza del lago sia per i grandi boschi. Vi era stanziata la formazione garibaldina “Nello Bovani”, comandata da Giovanni Urbani, “Candido”.

I partigiani hanno uno stretto rapporto con la popolazione, e si fanno promotori di elezioni per la scelta di una Giunta ristretta. Importante e notevole il fatto che tutto si svolge oralmente: non solo e non tanto per ragioni di sicurezza, quanto perché i contadini, gelosi della loro autonomia, sbrigano tutte le loro faccende nello stretto dialetto ligure-piemontese per escludere chi non sia del posto. Le questioni relative all’approvvigionamento dei viveri, alla cura di malati e feriti, all’amministrazione della giustizia vengono tutte trattate direttamente dai membri della Giunta, “contadini poveri ma non di intelletto e dignità” – così li definisce Candido – che sanno discutere anche i grandi problemi del domani, dell’organizzazione di una libera repubblica democratica più ampia, che rappresenta una prospettiva che si giudica possibile malgrado i tempi tragici.

L’esperienza ha fine con il grande rastrellamento del 29-30 novembre, che investe tutta la valle con un grande dispiegamento di forze cui i partigiani non possono opporre che una fragile resistenza. Le unità partigiane riusciranno peraltro a filtrare fra le maglie della rete nazi-fascista e a salvarsi per continuare le azioni militari.

 

Contemporaneamente all’esperienza di Osiglia, anche a Calizzano – paese confinante – si forma la banda partigiana “Revetria”, inizialmente comandata da un sottufficiale dei carabinieri, Carlo Montefinale. Ben presto i partigiani decidono di unirsi alle formazioni garibaldine, mantenendo la propria denominazione, ma il comando viene affidato a Ivo Bavassano (“Gianni”), affiancato dal commissario di guerra (questa è la dizione preferita) Bruno Musso, “Ennio”. Montefinale e pochi altri decidono di raggiungere le formazioni autonome di Mauri in Piemonte.

Le iniziative di amministrazione civile vengono assunte direttamente dai partigiani, i quali provvedono all’allestimento di un ospedaletto da campo, organizzano un centralino telefonico per i collegamenti con i paesi vicini, dove si trovano altri distaccamenti partigiani. C’è anche in paese una colonia di ragazzi meridionali e i partigiani per un certo periodo riescono perfino a rifornirla di viveri. Organizzano anche la censura della posta in uscita da Calizzano, per controllare che non vengano trasmesse, anche casualmente, informazioni di interesse strategico.

Nasce anche un giornale ciclostilato, “Noi venturi”, pubblicato in 500 copie.

Anche questa esperienza viene stroncata con il grande rastrellamento della fine di novembre. E anche qui i partigiani, con la loro sicura conoscenza del terreno, riescono a ritirarsi con scarse perdite.

 

L’ultima esperienza di libertà si realizza dopo i grandi rastrellamenti, nel gennaio del 1945, a Murialdo, in alta Val Bormida, a 525 metri di altitudine, che contava nel 1936 ben 1.784 abitanti. Qui i distaccamenti garibaldini “Landini” e “Bruzzone” riprendono l’esperienza di Osiglia e Calizzano, e organizzano un’assemblea di capifamiglia che elegge un sindaco in luogo del podestà nominato dal prefetto. I grandi rastrellamenti dell’autunno sono già passati, lo sbarco alleato si è verificato in Provenza, le forze nazifasciste sono sempre più in difficoltà. Murialdo nelle sue appartate colline, può sopravvivere fino all’estate della Liberazione.