di Pietro Secchia e Cino Moscatelli
La liberazione della Valsesia aveva entusiasmato anche i partigiani delle altre zone e in particolare quelle operanti nell’Alto Novarese…. Era possibile liberare l’intera regione, il Biellese, la Valsesia, l’Ossola? Noi studiammo seriamente il problema delle possibilità, malgrado le evidenti difficoltà, di avere uno o più territori liberati permanentemente o per un lungo periodo di tempo. Non ci ponemmo l’alternativa: o liberare dei territori creando in essi un ordinamento democratico, presidiato da robuste unità partigiane, come base (e con forze di riserva e ausiliarie) delle unità di manovra operanti oltre la zona libera, oppure limitarci ad avere delle unità relativamente piccole, assai mobili, atte a spostarsi continuamente e ad attaccare il nemico dappertutto. Considerammo sempre queste forme di lotta come due aspetti possibili e non contrastanti dell’azione partigiana, come due tattiche di cui l’una non escludeva l’altra…
La liberazione di paesi e di intere vallate aveva aspetti negativi, data la consistenza e la caratteristica delle formazioni partigiane, ma avrebbe permesso di avere più salde e larghe basi di operazione, di tagliare permanentemente alcune vie di comunicazione del nemico, di tenere impegnate forti aliquote delle sue truppe, di favorire l’afflusso di volontari, di poter più facilmente inquadrarli e addestrarli, di centralizzare e migliorare tutti i servizi di sanità, intendenza, trasporti, di sviluppare un grande lavoro di propaganda tra i partigiani e la popolazione.
L’occupazione stabile di zone interdice il traffico militare nemico, lo priva di basi e agisce sulle sue truppe come elemento di disgregazione. L’allontanamento dei fascisti dalle zone liberate è fattore di diffusione di panico là dove essi arrivano ed annunciano quanto è successo nella zona liberata. L’occupazione permanente di vallate e paesi e la loro libera organizzazione non aveva solo una grande importanza politica, ma bensì una notevole importanza militare. Essa era la premessa necessaria per passare a forme superiori di guerra partigiana, per avviarci verso la costituzione di grandi unità.
Il Biellese, la Valsesia, il Cusio, l’Ossola e il Verbano per la loro situazione geografica, per la loro struttura economico-sociale, offrivano evidenti condizioni favorevoli alla loro liberazione. Poste ai piedi della catena alpina presentavano ai partigiani la possibilità di avere le spalle relativamente sicure, ed una via di ritirata in caso di necessità. Inoltre queste regioni non erano attraversate da linee di comunicazione essenziali dal punto di vista bellico per cui il nemico fosse costretto a “tenerle ad ogni costo”, sia per far affluire truppe e materiale, sia per conservarsi una eventuale via di ritirata. Fatta eccezione dell’autostrada Torino-Milano che si sarebbe venuta a trovare al limite della zona liberata e avrebbe potuto essere lasciata fuori dal suo territorio, non vi erano altre vie di comunicazione di grande importanza. La liberazione di tutte queste zone avrebbe portato al controllo, da parte dei partigiani, delle più importanti località di sbocco: Biella, Gattinara, Romagnano, Borgomanero, Arona, da dove si sarebbe potuto contribuire efficacemente al disturbo della progettata linea tedesca sul Ticino, alla disorganizzazione dei servizi nemici sia di fronte che dietro lo schieramento stesso, alla minaccia diretta di grossi centri come Novara e Vercelli; si poteva inoltre tagliare il collegamento autostradale tra Torino e Milano.
Però gli elementi negativi erano pure molti, poiché forti unità di combattimento erano necessarie non solo per liberare quei territori, ma anche e soprattutto per difenderli poi dal ritorno offensivo del nemico. Le nostre formazioni mancavano di armi pesanti, cannoni, carri armati, mezzi anticarro. Non parliamo dell’aviazione alla quale non c’era neppure da pensare… E si doveva prevedere inevitabile la delusione e lo scoraggiamento della popolazione nel caso che i partigiani fossero stati costretti ad abbandonare la zona liberata.
Sebbene la regione non fosse attraversata da vie di comunicazione importanti, era difficile pensare che il nemico si sarebbe rassegnato ad avere in Piemonte un ampio territorio, in gran parte industriale, in mano ai partigiani minaccianti da vicino le città di Novara, Biella, Vercelli, Santhià, Chivasso e la grande arteria che attraverso queste città collega Milano a Torino.
E’ vero che la situazione dei fascisti e dei tedeschi in Piemonte non era molto solida; correva voce, anzi, che il comando tedesco avesse esaminato l’eventualità di ritirare le sue forze dal Piemonte e stabilire una linea di difesa sul Ticino. Ma naturalmente non ci si poteva regolare sulle voci che “correvano”…
Il pro e il contro venne studiato attentamente e si cominciò col liberare non i centri maggiori del fondo valle, ma alcune località pedemontane. Liberati questi territori, dove la situazione era più favorevole, per organizzare basi di operazioni e di difesa; creata poi, ai margini della zona liberata e presidiata, una zona controllata, nella quale il potere popolare si sarebbe realizzato di fatto anche se non in forme altrettanto palesi e dichiarate; si sarebbero in seguito, in relazioni ai successi ed ai risultati, allargate con opportune e tempestive azioni militari, sia le zone liberate che quelle controllate.
L’esperimento, iniziatosi con la liberazione di Borgosesia, si sviluppò nel Biellese e si allargò in seguito all’Ossola. Purtroppo l’esperienza dimostrò che data la situazione militare generale e i rapporti di forza esistenti non era ancora possibile tenere per lungo tempo importanti territori liberati.