Quando si pensa agli avvenimenti che segnarono la storia del Meridione d’Italia dal 1943 al 45, vengono subito alla mente alcuni pochi fatti: lo sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio 1943, la loro lenta risalita lungo la penisola, la fuga del re Vittorio Emanuele III a Brindisi e la costituzione del Regno del Sud, sotto tutela degli Alleati stessi, e infine l’episodio glorioso e apparentemente isolato delle quattro giornate di Napoli, dal 28 settembre dello stesso anno.
Eppure la storia del Meridione è molto più ricca e articolata, e presenta episodi e battaglie poco note: gli studi sono stati confinati ad articoli pubblicati su riviste specializzate, i libri sono stati pochi e poco divulgati. Meritoria è stata l’azione dell’ANPI, che nel gennaio 2015 ha indetto un convegno su “La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia – 1943-45”, di cui è uscito il volume a cura di Enzo Fimiani.
Nei venti anni di dittatura, i grandi proprietari terrieri del Meridione si erano completamente identificati col fascismo, ne erano spesso i gerarchi e occupavano le posizioni di potere nelle comunità. La politica repressiva del fascismo, combinata con l’esaltazione demagogica della vita rurale e con la promessa di rendere tutti piccoli proprietari, aveva mantenuto la pace sociale nelle campagne, malgrado la profonda miseria che vi dominava.
Su questo mondo chiuso e misero, dove l’asino, il mulo o una capra sono ancora mezzi indispensabili di sopravvivenza, si abbatte la tempesta della guerra. Il 10 luglio del 1943, ancor prima della firma dell’armistizio e della caduta di Mussolini, quando l’Italia è ancora a pieno titolo alleata della Germania, gli Alleati sbarcano in Sicilia e costringono i tedeschi a ritirarsi verso il continente. Se nella parte occidentale dell’isola i combattimenti durano pochi giorni, nella parte orientale le truppe tedesche in ritirata procedono alla razzia sistematica di viveri, cavalli e carri, provocando la reazione degli abitanti. A Mascalucia, nel catanese, il 3 di agosto, alcuni soldati tedeschi cercano di rubare tre cavalli alla famiglia Amato, i quali si oppongono; i soldati tedeschi sparano e colpiscono a morte uno dei fratelli, mentre un giovane nipote viene ferito. Si scatena una sparatoria che coinvolge tutto il paese per tutta la giornata. Racconta un testimone citato da De Jaco: “In breve si sparò dappertutto: dal campanile della Chiesa madre, dalle terrazze, dai vicoli, dai balconi contro ogni tedesco che si vedeva. Schiere di cittadini fluttuavano da un punto all’altro, armati di fucili anche a canne mozze e di pistole. Dei tre tedeschi che erano andati dagli Amato per i cavalli non si seppe più nulla”. (p. 41)
Nello stesso giorno, lì vicino, a Pedara, il contadino Alfio Ventura si recava in campagna a raccogliere frutta con il suo mulo. Un tedesco, pistola alla mano, gli ordina di consegnarglielo. Più tardi, in paese, lo stesso tedesco con un commilitone cercano di impadronirsi di un carretto cui attaccare il mulo. Anche qui scoppia uno scontro in cui i tedeschi ebbero la peggio di fronte alla rabbia della popolazione.
Due giorni dopo, il 5 agosto, alcuni militari tedeschi raggiungono l’eremo di sant’Anna dove era rimasto solo un frate incaricato dei lavori agricoli. I tedeschi saccheggiano i viveri, uccidono gli animali da cortile e da stalla e in ultimo uccidono frate Arcangelo.
Il 7 agosto ancora a Pedara i tedeschi prendono un ragazzo di Tremestieri. Dopo due giorni, se ne trova il cadavere orribilmente trucidato: gli avevano strappato le unghie, tagliata la lingua, cavati gli occhi. Un altro ragazzo di 15 anni, viene sequestrato l’11 agosto a Calatabiano, dopo che i tedeschi hanno devastato la casa. Viene visto lavorare per i tedeschi in un campo vicino, ma poco dopo si odono dei colpi di armi da fuoco; il cadavere viene trovato tre giorni dopo, sepolto sotto un sottile strato di terra.
Il 12 agosto una trentina di tedeschi, montati su autocarri, entrano nel paese di Castiglione. All’inizio del paese scassinano una prima casa, poi risalgono tutta la via principale sparando all’impazzata e lanciando bombe a mano per le strade e dentro le case. Catturano poi oltre 150 uomini, che vengono rinchiusi in una grande stalla, tenuti senza cibo, derubati di ogni cosa di valore, ma infine rilasciati indenni. Gli uccisi furono 16 e 20 i feriti.
Tutto ciò risponde a una strategia precisa da parte dei comandi tedeschi. “A integrazione degli ordini impartiti – precisano i comandi tedeschi – le aree abbandonate devono essere lasciate al nemico solo dopo averle rese un deserto; si richiama con estremo rigore l’attenzione sul fatto che soprattutto non deve essere lasciato per quanto possibile nelle mani del nemico alcun tipo di bestiame idoneo a essere macellato”.
Dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre, nei confronti degli italiani considerati traditori, gli ordini si fanno più precisi: il 18 settembre viene diramato quello che è passato alla storia come il Nero-Befehl, l’Ordine Nerone, a firma del generale Keitel: “Nell’esecuzione dei ripiegamenti disposti… si deve fare ricorso su larghissima scala a distruzioni di ogni tipo”. Impianti per la produzione di energia elettrica, ferrovie, strade, porti, ponti, gallerie, aziende agricole e industriali, monumenti artistici, chiese, ospedali in funzione, tutto deve essere distrutto; scorte alimentari, bestiame, cavalli e ogni altro animale vanno requisiti e portati via; se risulta impossibile trasportarli, bisogna distruggerli e ucciderli. La popolazione maschile deve essere deportata in modo da poter usare la sua capacità di lavoro. “Ci si aspetta che i comandanti responsabili di ogni grado mettano in atto con la massima energia, senza alcuna indulgenza o riguardo, lo sgombero e la distruzione”.
Lasciata la Sicilia, sul continente continuano le stragi: il 16 settembre è la volta di Rionero in Vulture, in Basilicata, dove i tedeschi massacrano 19 civili. Lo scontro inizia – pare – con le grida di una ragazza: il padre crede che un soldato tedesco voglia violentarla, forse il soldato voleva solo una gallina; di fatto scoppia una sparatoria dove cadono alcuni tedeschi e i civili. Quando i tedeschi se ne vanno, i contadini occupano le terre incolte nelle zone di latifondo. A pochi chilometri di distanza, il paese di Maschito proclama la libera repubblica contadina, nel desiderio di cancellare fascismo, monarchia e tutto il passato di angherie e sfruttamento.
E’ poi il turno di Matera, che insorge il 21 settembre: la scintilla scocca per la rapina a una gioielleria da parte di due soldati tedeschi, ma anche qui agisce la rabbia per la miseria ancestrale e le privazioni della guerra. Un’altra repubblica contadina si instaura il 29 settembre a Calitri, in provincia di Avellino, ma dura pochissimi giorni, finché viene stroncata con l’aiuto degli Alleati.
Alla fine di settembre è la volta di Napoli: le quattro giornate iniziano per il rastrellamento degli uomini validi dai 18 ai 35 anni, e con l’incendio dell’Università dove poco prima il rettore Adolfo Omodeo ricordava ai giovani che “i loro maestri erano della generazione del Carso e del Piave e comprendevano il loro affanno” (Battaglia, p. 104). Tutto il popolo si alza in armi, comprese le donne e i ragazzi: la medaglia d’oro Gennarino Capuozzo, caduto come servente a una mitragliatrice, ha solo 12 anni. I panzer tedeschi, così agili e poderosi sui campi di battaglia, sono goffi e vulnerabili negli stretti vicoli della città. Gli orgogliosi soldati del Fuhrer devono arrendersi a scugnizzi cenciosi e uomini risoluti, armati di poche pallottole e tanta rabbia disperata. Commenta Roberto Battaglia (p. 11-112): “Il ricordo di Napoli inciderà profondamente sull’atteggiamento dell’esercito nazista in Italia costringendolo a muoversi con cautela nelle grandi città, a esercitare le sue rappresaglie nei luoghi più remoti della campagna italiana. E d’altra parte sarà sempre presente nelle file della Resistenza poiché è la migliore, la più perentoria dimostrazione della possibilità dell’insurrezione cittadina”. E Battaglia prosegue rammentando il giudizio di Luigi Longo: “Dopo Napoli, la parola d’ordine dell’insurrezione finale acquistò un senso e un valore e fu d’allora la direttiva di marcia per la parte più audace della Resistenza italiana”.
Negli stessi giorni, il 27 e 28 settembre, si combatte contro i tedeschi anche a Scafati, sotto il comando di Vittorio Nappi. Era il capo indiscusso della camorra della zona, e non poteva sopportare che i tedeschi, ignorando la sua autorità, esercitassero violenza contro la sua città e i suoi compaesani. Nappi si getta personalmente nella battaglia e contatta l’esercito alleato – una formazione inglese – fornendo le indicazioni per attaccare i tedeschi alle spalle. Scafati si libera e don Vittorio diventa un eroe della resistenza. Malgrado una pesante carriera criminale nel dopoguerra, quando morì nel 1978 il comune gli decretò funerali pubblici.
Prima che le truppe alleate riuscissero a vincere la battaglia di Cassino e a dirigersi verso Roma, sono molti gli episodi di lotta contro i tedeschi, di scontri e rappresaglie in gran parte ignorate o dimenticate. Dopo Matera e Napoli, il 1 ottobre tocca ad Acerra, dove i contadini costruiscono delle barricate e cercano di sbarrare la strada ai tedeschi: 200 persone vengono massacrate per rappresaglia. Insorge poi Lanciano dal 4 al 6 ottobre: 11 giovani cadono in combattimento, i tedeschi bruciano il paese, fucilano 12 cittadini, impiccano Trentino La Barba dopo averlo torturato e accecato.
Il 7 ottobre a Bellona, sul Volturno, viene ucciso un soldato tedesco che aveva violentato una giovane donna. Scatta la rappresaglia e vengono massacrati 54 cittadini, accompagnati fin sul luogo dalla fucilazione dal podestà fascista. Dieci giorni dopo, a Caiazzo, i tedeschi in ritirata uccidono 22 persone, di cui 11 bambini e ragazzi, colpevoli di aver risposto alla domanda dove si erano diretti i nemici indicando la via intrapresa dai tedeschi stessi. Il grande filosofo Benedetto Croce ne detterà la commossa lapide che li ricorda.
Il 10 ottobre è la volta di Sanza, nel Vallo di Diano in provincia di Salerno, dove gli abitanti proclamano una libera repubblica contadina: dopo un mese gli Alleati getteranno in carcere i responsabili per aver usurpato funzioni di governo.
Il 4 novembre insorge Cosenza, dove l’antifascista Fausto Gullo e il comunista Francesco Spezzano capeggiano una rivolta sorte spontaneamente per l’intervento di alcuni carabinieri contro una scritta a favore degli Alleati. Gullo si insedia alla Prefettura e Spezzano viene acclamato sindaco. Già il giorno dopo gli Alleati nominano un nuovo prefetto e un nuovo sindaco, socialisti più moderati e più graditi, mentre Gullo, Spezzano e gli altri vengono minacciati di deportazione in Africa.
Ancora nel novembre 1944 insorge Caulonia, in provincia di Reggio Calabria. In questo caso gli Alleati accettano il nuovo sindaco, Pasquale Cavallaro, che assume la carica nel gennaio successivo, ma la prima repubblica contadina dichiaratamente comunista avrà una vita breve fra violenze e delitti.
Intanto anche il Regno del Sud – al pari della Repubblica Sociale di Mussolini – ha bisogno di forze armate, e procede al richiamo di alcune classi. Se nel nord l’editto repubblichino determina un afflusso di giovani in montagna per unirsi alle forze partigiane, in Sicilia fa scoppiare la rivolta ricordata come Non si parte, nel cui ambito vengono proclamate le libere repubbliche contadine di Pianadegli Albanesi e di Comiso, e che ha il suo epicentro a Ragusa, dove una donna, Maria Occhipinti, diventa l’animatrice della ribellione.
In Puglia, il 13 novembre, si muove la classe operaia con un grande sciopero nei cantieri navali di Taranto, rivendicando un aumento dei salari del 200%. Alla testa dello sciopero ci sono due operai comunisti, Vecchi e La Torre, i quali invitano le maestranze alla calma e alla disciplina. Ma per le strade della città nasce una grande manifestazione che si dirige verso la Prefettura, la invade e manda il Prefetto a rotolare per le scale. Anche a Bari si muove la popolazione contro le truppe tedesche che avevano l’ordine di distruggere le installazioni portuali: il porto di Bari è salvo.
Risalendo la penisola, le truppe tedesche sono ormai in Abruzzo: il 21 novembre a Pietransieri massacrano 128 persone, fra cui 60 donne e 34 bambini sotto i 10 anni. Ma in Abruzzo i 400 abitanti del paese di Morrea intraprendono un’azione di salvataggio di partigiani e prigionieri alleati evasi dai campi di prigionia, riuscendo ad aiutarne circa 5.000. Ed è fra queste montagne dove le storie d’Italia si saldano, con la nascita di un partigianato organizzato nella Brigata Maiella.
Non è però possibile ricordare tutti gli episodi che dalla Sicilia al centro Italia formano un’ininterrotta catena di insurrezioni, rivolte, combattimenti, massacri, eccidi. Vale la pena ricordare Battipaglia, definita la “Guernica italiana”, Nola, Santa Maria Capua Vetere, Maddaloni, Aversa, Giugliano, Marano.
Le vampate insurrezionali, violente e rapide, si spengono subito, man mano che le truppe tedesche risalgono la penisola e abbandonano i territori meridionali, che gli Alleati, dopo un breve periodo di amministrazione militare diretta, tornano ad affidare al Regno del Sud e ai Savoia. Ma ciò non comporta la fine delle sofferenze e il ritorno della pace. Scrive Gloria Chianese: “Erano frequenti i casi di rapina ai danni dei civili italiani e non mancarono casi di stupro… A Cerignola, in provincia di Foggia, nel dicembre 1943 vi fu un continuo susseguirsi di crimini di militari angloamericani che irrompevano, ubriachi, nelle case. A Benevento, medesima situazione a opera di reparti canadesi, e così pure ad Avellino. A Teano, in provincia di Caserta, nel marzo 1944, dopo ripetuti casi di violenza sessuale, vi fu una dimostrazione di donne davanti alla sede del Governo militare alleato, (AMGOT) contro l’annunciato arrivo di truppe coloniali…Tutto ciò accresceva nella popolazione civile la percezione dell’esercito angloamericano come vincitore… contribuiva ad accrescere l’estraneità e il risentimento non soltanto verso il governo alleato, ma anche contro l’amministrazione statale italiana, ritenuta priva di effettivo potere”. E a proposito di stupri, si preferisce in genere tacere sul fatto che a Napoli vennero denunciati seimila stupri da parte delle truppe alleate.
Quello che poi non cessa in alcun modo sono la miseria ancestrale e la fame di terra, che non si spegneranno alla caduta del fascismo, dando luogo a eccidi di cui si macchierà a Repubblica italiana ai suoi esordi. Saranno appunto “le lotte contadine contro il latifondo a costituire ‘l’evento’ intorno a cui si sarebbe costruita una tradizione politica” – afferma Gloria Chianese. La riforma agraria e l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno saranno la risposta del regime democristiano alle agitazioni contadine e alle esigenze di allargamento del mercato interno. Ma quegli interventi non migliorano la condizione dei contadini: sconfitti sulle loro terre, l’unica possibilità di riscatto loro rimasta si prospetta in termini di emigrazione, verso l’estero o verso il triangolo industriale del nord, dove molti, divenuti operai, andranno a ingrossare le fila del Partito comunista.