Matera

 

Una delle prime città a insorgere contro i tedeschi in ritirata è Matera. E non è un caso: se l’insurrezione del 21 settembre viene provocata dalla rapina esercitata da due soldati tedeschi ai danni di una gioielleria cittadina, già dal 1939 la zona aveva dato segnali di inquietudine.

In provincia di Matera, secondo lo studio compiuto da A. Serpieri e citato nel libro di Talamo e De Marco, nella zona di pianura l’1,2% dei proprietari possedeva oltre il 66% dei terreni, mentre il 93% dei proprietari disponeva di terre comprese fra 0,5 e 5 ettari. In collina e in montagna, l’1,4% dei proprietari disponeva del 60% dei terreni, un altro 7,6% di proprietari, che si possono considerare medi, disponeva del 21% dei terreni, mentre le piccole proprietà fino a 5 ettari spettavano al 90% dei proprietari. Esiste quindi una grande frantumazione della piccola proprietà contadina, che non permette al contadino e alla sua famiglia di vivere su di essa. Il possesso di un fazzoletto di terra non solleva i proprietari da condizioni di estrema povertà, aggravate in un primo tempo dalla politica autarchica del regime fascista, e poi dallo stato di guerra.

Alla fine del 1939 un gruppo di contadini di Bernalda occupa le terre comunali per averle in affitto. Nel 1940 i contadini (ma sono in gran parte donne) manifestano a San Giorgio Lucano per il mancato arrivo del pane, e poi a San Mauro Forte, dove i contadini si ribellano all’ordine di consegna degli utensili di rame e contro il caroviveri. Scrive il Gallerano: “Si forma un corteo che invade il municipio strappando gli avvisi di notifica dei contributi unificati e tenta di appiccare il fuoco. La manifestazione riprende il giorno dopo, per ottenere la liberazione dei tredici dimostranti arrestati; e lo scopo viene ottenuto dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri”. Nel 1942 il questore di Matera, in un rapporto ufficiale, parla di “manifestazioni collettive, mai precedentemente verificatesi”.

La situazione è sempre più chiaramente insostenibile. Dopo l’armistizio, il giorno 18, le truppe tedesche – ricevuto l’ordine di abbandonare la città – distruggono il deposito ferroviario e si appropriano di materiali e viveri che vi erano custoditi. Accorrono al magazzino anche gli abitanti, vogliosi di prendere ciò che è rimasto, ma i tedeschi non lo permettono, anzi arrestano dodici contadini e li rinchiudono nella caserma dove sono acquartierati. Tutto sembra calmo e due giorni dopo il grosso delle truppe tedesche lascia la città; restano solo pochi soldati con tre camionette. Il giorno dopo – siamo al 21 settembre – corre la voce che i tedeschi hanno lasciato la città: tutti scendono per le strade per accertarsene. Nella gioielleria Caione, dove si trova la signora Michelina, in presenza di alcuni cittadini, due soldati tedeschi intascano orologi e gioielli “per ricordo” – dicono. Uno dei presenti tira fuori una pistola, spara e uccide un tedesco. Secondo il racconto che ne fa Giorgio Bocca, una donna anziana accorre a coprire il cadavere con un lenzuolo, dicendo: “E’ anche lui un figlio di mamma”.

Ma sono tempi in cui “pietà l’è morta”. I soldati tedeschi ancora presenti sparano all’impazzata sulle strade principali e uccidono otto civili. Provvedono poi a far saltare la caserma dove si trovavano i dimostranti arrestati tre giorni prima: solo uno si salva. Uccidono poi due ingegneri che si rifiutano di consegnare la cabina della Società idroelettrica che rifornisce la città. Le autorità cittadine – la Prefettura, i carabinieri – non intervengono. Contro i tedeschi si leva tutta la città: circa mille materani, di cui diventa leader un tranquillo padre di famiglia di 44 anni, Emanuele Manicone. Combattono anche alcuni soldati italiani sfuggiti ai rastrellamenti e comandati dal tenente di complemento Francesco Nitti, che distribuisce le armi ai civili. Gli ultimi tedeschi sono costretti a fuggire, la città è libera, al caro prezzo di ventidue morti.

Precisa Gloria Chianese: “La rivolta di Matera ebbe la configurazione di un moto spontaneo di reazione alle violenze naziste e maturò a conclusione della lunga vicenda della guerra. Ma non va dimenticato che in città, ma un po’ in tutta la regione, era rimasta memoria delle violenze dello squadrismo fascista”.