La zona del Pinerolese lungo tutta l’alta val Chisone, da Fenestrelle al Sestrière, era teatro dell’attività di tre distinte formazioni partigiane: la I Divisione d’assalto Garibaldi, comandata da Pompeo Colajanni (“Barbato”); la V Divisione alpina di Giustizia e Libertà “Sergio Toja”, particolarmente attivo a Torino e nei territori valdesi; e infine una formazione autonoma, la Divisione Alpina autonoma “M.O. Adolfo Serafino”, comandata da un sergente degli alpini, Maggiorino Marcellin, “Bluter”. Questa formazione prendeva in considerazione le direttive politiche del CLN solo come aiuto e consiglio, e non prevedeva la presenza di un commissario politico, considerata una figura troppo “sovietica”. Aumentando però la consistenza della formazione e la necessità di intrecciare rapporti con le popolazioni e con i comuni della valle, assume sempre maggiore importanza la figura del delegato civile. Suo compito era appunto quello di mediare fra militari e civili e organizzare l’intervento dei comuni nel rifornimento diretto delle bande.
Una zona libera si organizza già nel febbraio del 1944, quando le forze partigiane occupano le due estremità della valle e riuscono a tenerla fino al 30 marzo. La zona libera comprendeva i comuni di Perosa Argentina, Roreto (oggi frazione di Cherasco), Fenestrelle, Pragelato, Sestrière, Cesana, per complessivi 8.500 abitanti circa, cui vanno aggiunti quelli delle valli Germanasca e Argentera, mentre in Val Troncea si trovavano magazzini e depositi, oltre a zone previste come rifugio.
Secondo un documento ufficiale della Divisione autonoma di Marcellin: “In alta Val Susa e Val Chisone, la sostituzione delle autorità fasciste non avvenne con quella che viene comunemente chiamata “scambio di consegne”. Le autorità compromesse se la squagliarono… Rimasero al loro posto buona parte dei segretari comunali e degli impiegati, gente di second’ordine che provvide ad amministrare alla meno peggio, non certo peggio di prima”.
I civili erano sempre comunque subordinati all’autorità militare attraverso il delegato, anche se il Comando militare concedeva ampia libertà d’azione. Dichiara esplicitamente il documento sopra citato: “Diffidavamo di possibili e premature iniziative democratiche, di troppe iniziative fuori tempo… perciò collaborazione sì, ma ragionata e responsabile, una collaborazione che… rendesse liberi i combattenti i quali, non più impegnati in quel settore, potessero meglio dedicarsi all’organizzazione militare”. Insomma, l’auto-amministrazione civile viene vista come attività a tutto vantaggio dei militari, per renderli più liberi da impegni noiosi e gravosi, ma mai per sviluppare un processo democratico ritenuto pericoloso, coerentemente con l’impostazione politica degli autonomi.
Una prima offensiva nazifascista si sviluppa in aprile, costringendo i partigiani a ritirarsi in alta montagna. Ma subito dopo sono i tedeschi ad abbandonare la zona troppo impervia per essere agevolmente difesa. Il 19 di maggio il Comando militare decide di ripristinare la zona libera, che si estende fino all’alta Val Susa da Ulzio a Clavières, oltre alla bassa Val Chisone.
L’impostazione politica è sempre la stessa, e prevede l’opera di Commissioni incaricate per il ramo civile, che restano sempre sotto il controllo del Comando militare, che di tutto deve essere informato. Non vi furono comunque mai contrasti.
Verso la fine di luglio si avvertono le prime avvisaglie di un attacco tedesco: vengono concentrate truppe in Val Susa e all’imbocco della Val Chisone. La formazione di Marcellin – caso unico nella resistenza italiana – dispone di dieci pezzi di artiglieria da montagna, di mortai da 81 e di mitragliatrici pesanti e si prepara a resistere facendo lavori di fortificazione. Il 31 di luglio compaiono i carri armati e si scatena la battaglia. Vi intervengono anche gli aerei Stukas che bombardano la linea di difesa partigiana. Contro gli Stukas combattono due squadriglie di cacciabombardieri decollati dalla Corsica su richiesta della missione alleata. “Anche questa è guerra partigiana, ma come distinguerla ormai dalla guerra grossa?” si domanda Giorgio Bocca.
Fu una battaglia aspra, la più lunga della guerra partigiana: il 6 agosto il Comando partigiano decide di abbandonare la battaglia campale e tornare alla guerriglia. Divisi in piccoli gruppi, i partigiani raggiungono la Val Troncea. Lì Marcellin viene raggiunto da Serafino Griot, commissario prefettizio di Pragelato, in qualità di ambasciatore dei tedeschi, i quali offrono di aprire una trattativa, garantendo ai partigiani la vita in cambio della resa. Le formazioni autonome sono in generale assai disponibili a trattare col nemico e ad accettare di scendere a patti, ma questa volta Marcellin rifiuta la resa con grande fermezza: “le nostre montagne sono nostre”, risponde fieramente al nemico. Dalla Val Troncea, con marce penosissime, quasi senza toccare cibo per giorni interi, alcuni passano il confine e si rifugiano in Francia, altri si infiltrano in Val Varaita. Il 10 settembre saranno di nuovo alla lotta in Val Chisone.