I Cosacchi in Carnia

Quella dei cosacchi è una trasmigrazione biblica. Hanno percorso migliaia di chilometri su carri trascinati dai cavalli, portando con sé donne e bambini, tutti sporchi, cenciosi e affamati. Quando l’esercito tedesco aveva invaso l’Unione Sovietica, con una campagna che pareva rapida e vittoriosa, si sono alleati con Hitler contro il governo di Mosca, spinti dalla loro irremovibile vocazione anticomunista. Nel 1942, quando i tedeschi si sono ritirati, i cosacchi temendo le inevitabili rappresaglie dei sovietici, li hanno seguiti e hanno combattuto a fianco dei tedeschi contro i partigiani polacchi, contribuendo a stroncare l’insurrezione di Varsavia. Sono stati poi inviati in Italia, per costituire un baluardo contro la resistenza partigiana. Alcuni fra i più anziani sono stati ufficiali dello zar e ancora portano la spada d’ordinanza dell’esercito zarista. Sono un’orda di circa 40.000 persone, con 6.000 cavalli e trenta cammelli (o dromedari), che si muovono sotto il comando dell’atamano Pietro Nikolaievich Krasnov, coadiuvato dal generale Michele Salamakin. Krasnov, insieme con Vlasov e Denikin, aveva capeggiato la resistenza cosacca contro l’Armata rossa sovietica e alla vittoria della rivoluzione si era rifugiato a Parigi, dove aveva acquistato fama come scrittore. Nel 1938 i comandi tedeschi gli offrono la possibilità di tornare a combattere contro gli odiati sovietici e gli promettono una “Kosakenland”, un territorio che diventerà di loro proprietà, sul quale insediarsi definitivamente, precisamente in Carnia.
Un testimone del tempo ne dà una descrizione molto colorita:

Apriva il corteo un vecchio principe zarista sulla sessantina… dal viso bruciato dal sole e dalla vodka. Un ufficiale lo seguiva rispettoso precedendo il dondolante landeau in cui aveva preso posto la famiglia del comandante (un’accozzaglia di donne e di ragazzi) mentre un soldato caracollava a debita distanza come a far largo alla fanfara che già s’annunziava con le stentoree note degli ottoni: tal quale una fanfara da circo equestre di quart’ordine. Dietro ad essa i cavalleggeri, fiore dell’armata, seguiti dagli uomini appiedati in ordine triario e in un assortimento pittoresco di tipi, di vestimenti e di armamenti. Tutti i musei delle caserme tedesche avevano concorso all’uopo… né mancava, penzolante al fianco di qualche gallonato, la spada ricurva dei vecchi cosacchi dello zar, dalla guaina di cuoio nero borchiata di ottone…

partigiani3I cosacchi dilagano nella zona, si insediano nelle case scacciandone gli abitanti, da loro pretendono cibo per sé e foraggio per gli animali. I paesi di Cavazzo, Verzegnis, Arta, Paluzza, Treppo, Ligosullo e Paularo devono cedere agli occupanti metà delle abitazioni. Gli animali da cortile vengono razziati, mentre gravi danni sono provocati dai cavalli, lasciati pascolare liberamente nelle campagne. Saccheggi, devastazioni e violenze sono all’ordine del giorno: decine di civili vengono uccisi, seviziati o percossi; vengono violentate un centinaio di donne, fra cui alcune bambine, una di soli cinque anni. Il parroco di Imponzo, don Giuseppe Treppo, viene barbaramente trucidato mentre tenta di difendere una ragazza del paese. A questo proposito è degno di nota la circolare “riservata” inviata dalla Prefettura di Udine, che riporta la nota del Ministero degli Interni di Salò – Direzione generale della Sanità pubblica. “A seguito di alcuni casi di violenza a danno di donne italiane da parte di fuorilegge e stranieri spesso appartenenti a razza non ariana, che non soltanto disonorano le nostre donne, ma compromettono la sanità e la purezza della razza” si ordinava di “intervenire nei casi in cui la violenza abbia determinato la maternità della vittima, procurandone l’aborto dove è possibile”. Se invece le stuprate erano delle bambine, ovviamente ciò era irrilevante agli occhi di un “governo” che partecipava direttamente alle operazioni tedesco-cosacche.
Il bilancio definitivo dà notizia di 150 assassinati, soprattutto anziani, donne e bambini, 1000 deportati nei terribili campi di lavoro nazisti, 100 donne stuprate, 400 abitazioni incendiate, oltre ai danni enormi provocati alle coltivazioni e ai boschi.
Successe però che alcuni giovani cosacchi cominciarono a capire la situazione e accorsero a unirsi alle bande partigiane. Il grosso del contingente si rese conto che una politica di distruzione e assassini non era opportuna per conciliarsi una popolazione con la quale dovevano dopo tutto convivere. Inoltre l’andamento generale della guerra non lasciava presagire nulla di buono. Infatti, quando i tedeschi si ritirarono, promisero ai cosacchi una nuova “Kosakenland” in Carinzia, e i cosacchi di nuovo li seguirono verso l’Austria.
Alla stipula del trattato di pace, l’URSS chiese che tutti i cosacchi venissero rimpatriati. Loro sapevano che non avrebbero trovato alcun perdono o clemenza e si racconta che preferirono gettarsi in massa nelle gelide acque della Drava. Ma pare che si tratti di una leggenda; secondo Mario Rigoni Stern,

furono internati in un lager nei pressi di Lienz dove rimasero sotto il controllo degli inglesi. Con un inganno gli ufficiali vennero tradotti nel carcere di Spittal per essere consegnati ai sovietici. I generali furono processati e condannati a morte per tradimento, gli altri deportati in Siberia. Nel tentativo di fuga alcuni furono uccisi dalle sentinelle, altri annegarono nelle acque della Drava. E’ pura fantasia quello che dopo si scrisse, che si annegarono in massa nel fiume piuttosto che tornare in URSS.

Quel che è certo è che l’atamano Krasnov penzolò dalla forca più alta sulla Piazza Rossa, a Mosca. Venti milioni di morti lo stavano ad aspettare.