I commissari politici – detti anche commissari di guerra – vennero istituiti ad ogni livello nelle formazioni partigiane sia comuniste che socialiste e azioniste. Furono invece del tutto rifiutati da parte delle formazioni “autonome: il commissario politico ispirava una particolare diffidenza perché ricalcato sull’analoga figura esistente nell’Armata Rossa dell’Unione Sovietica, e ripresa poi in Spagna dalle Brigate internazionali, durante la guerra civile. E’ noto peraltro che fu la Rivoluzione francese a istituire i Commissari della Convenzione: erano i fiduciari del governo rivoluzionario, che dovevano infondere coraggio e fede nella vittoria e spiegare le ragioni della lotta.
Dalla Convenzione alla Resistenza, i compiti del commissario politico sono molto simili: deve anzitutto provvedere alla educazione politica e morale dei partigiani, tutti giovani e giovanissimi educati nel clima della dittatura fascista, e che non avevano la minima nozione di democrazia, lotte sociali ed economiche, scelte elettorali. Conoscevano solo una gestione del potere autoritaria, violenta e repressiva.
Il commissario deve chiarire le ragioni della lotta contro il fascismo e il nazismo, deve commentare e spiegare ogni giorno le questioni politiche locali e quelle più generali. E’ responsabile sia della coscienza politica che della condotta morale degli uomini: le formazioni partigiane non sono un esercito formale, la disciplina non può essere imposta come negli eserciti nazionali; il partigiano è sempre un volontario e deve sapersi imporre da solo un’autodisciplina fondata su un solido senso di responsabilità.
Compito non meno fondamentale dei commissari politici è il collegamento con le popolazioni civili, ed essi furono di fatto il fulcro delle operazioni per la costituzione delle amministrazioni popolari nelle zone libere, incaricandosi del lavoro di organizzazione dell’autogoverno amministrativo. La relazione sulla costituzione di una delle Giunte comunali nelle Langhe descrive con vivezza come si svolgono questi primi tentativi di democrazia: è una domenica e il gruppo di garibaldini si reca a Serralunga d’Alba: “giungemmo allorquando la popolazione usciva dalla messa. Anche qui prima visitai il parroco, che… ci assicurò del suo appoggio… Poiché tutta la popolazione della parrocchia era riunita, esposi la necessità che tutto il popolo si mostrasse compatto nella lotta per la liberazione del nostro paese e feci presente che ciò è la condizione essenziale perché la guerra finisse presto e perché i nostri cari lontani possano ritrovarsi con le loro famiglie… Rinviata la riunione per l’elezione della Giunta a martedì 26 settembre, ci è stata assicurata, una partecipazione fortissima della popolazione, donne comprese, a questa prima elezione dopo vent’anni di fascismo”. Risaltano qui sia il compito pedagogico del commissario, che spiega la necessità della lotta ricollegandola agli affetti familiari e alle aspirazioni più sentite dal popolo, sia il compito politico di incitare alla partecipazione e risvegliare alla libertà un popolo che l’aveva dimenticata, o – come le donne – non l’aveva mai sperimentata.
Sulle mansioni assai varie che spettano al commissario nei rapporti con la popolazione, un vivido esempio ci viene dalla relazione scritta nell’Oltrepò pavese dall’ispettore garibaldino Gianni Landini, “Piero Medici; si parla nello specifico della situazione di Varzi: “l’ascendente del commissario politico è grande al punto che a lui come alla massima autorità del luogo vengono sottoposti problemi di carattere economico, giuridico, giudiziario. E’ giunto fino a unire in matrimonio i montanari, consegnando loro un certificato timbrato dal Comune e controfirmato dal Comando della brigata.”
Le formazioni autonome, capeggiate da militari, rifiutarono sempre di istituire una figura analoga affermando di voler essere “apartitici”, una scelta che ne rivela l’atteggiamento moderato e conservatore: volevano escludere i loro uomini dall’influenza politicamente troppo avanzata di comunisti e socialisti. E cercavano di ripetere sulle montagne lo stesso ordinamento gerarchico e la stessa disciplina formale dell’esercito tradizionale. Al massimo istituirono la figura del “delegato civile” laddove fosse necessario per intrattenere i rapporti con la popolazione civile, come in Alta Val Susa e Val Chisone.