Duccio Galimberti

Si chiamava Tancredi, ma venne sempre chiamato ed è passato alla storia con il diminutivo di Duccio. Nasce a Cuneo nel 1906; il padre era stato ministro delle poste nel governo di Giolitti e poi senatore fascista; la madre, Alice Schanzer, era una poetessa. Dopo la laurea in giurisprudenza il giovane Duccio diventa avvocato penalista ed è un antifascista mazziniano rigoroso. Già fra il 1940 e il 1942 tenta di organizzare gruppi antifascisti, accostandosi al Partito d’Azione, ma è con il 1943 che esce clamorosamente allo scoperto: il 26 luglio dalla finestra del suo studio su una piazza centrale di Cuneo (che oggi porta il suo nome) arringa la folla chiamando tutti alla lotta: “La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del partito fascista”.

Subito all’8 settembre, dopo un contatto – senza risultato – con le autorità militari della città, Galimberti con Dante Livio Bianco e altri dieci amici si radunano alla Madonna del Colletto, formando il primo nucleo della banda partigiana “Italia libera”; da questa sorgeranno le brigate di Giustizia e Libertà, dislocate nelle isolate valli del Cuneese. E’ in quelle valli che sorgeranno varie libere repubbliche, e si instaureranno i primi rapporti internazionali dell’Italia libera: il patto di Barcellonette è il primo trattato internazionale dell’Italia libera, sancito il 30 maggio del 1944 fra i partigiani italiani di Giustizia e Libertà e una delegazione dei partigiani francesi, sulla collaborazione politico-militare fra i due fronti.

Nel gennaio 1944 Galimberti viene ferito: curato sul campo da una dottoressa ebrea sfuggita ai nazisti, e poi in ospedale, riesce a ristabilirsi. Viene nominato comandante di tutte le formazioni GL del Piemonte e loro rappresentante nel Comando militare regionale. Si sposta quindi a Torino e qui viene localizzato ed arrestato dai fascisti, il 28 novembre 1944. Risultano inutili i tentativi di organizzare uno scambio con i tedeschi e Galimberti, detenuto in carcere, è prelevato e trasportato nella caserma delle Brigate nere di Cuneo. Seviziato e ridotto in fin di vita, non parla. Viene fucilato il 4 dicembre 1944. E’ stato insignito di medaglia d’oro alla memoria.