“Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. Così si presentavano all’Italia e al mondo i risorti partiti politici italiani, il 9 settembre 1943, immediatamente dopo la firma dell’armistizio.
I partiti politici – banditi durante il fascismo e con i loro militanti assassinati, incarcerati, confinati o costretti all’esilio – fin dagli ultimi giorni del 1942 danno inizio alla loro ricostituzione. Dopo le sconfitte del nazifascismo a El Alamein e a Stalingrado, già avvertite come determinanti, in alcune città come Roma, Milano, Torino si riuniscono i rappresentanti dei partiti antifascisti: il partito comunista, socialista, democratico cristiano, il partito d’azione (nato dalla fusione di Giustizia e libertà con il movimento liberalsocialista); inizia a costituirsi il partito liberale e nel Sud d’Italia si delinea la nuova formazione di Democrazia del lavoro. Ad accelerare il processo intervengono i grandi scioperi operai del marzo 1943, che alla base presentano delle rivendicazioni di natura economica, per la forte inflazione che aveva peggiorato le condizioni dei lavoratori, ma pongono anche rivendicazioni di natura politica, come la fine della guerra e il rovesciamento delle alleanze.
Nel maggio 1943 si tiene a Roma una riunione in cui Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova e membro del Partito comunista, propone la creazione di un fronte comune. Altre riunioni si tengono il 24 giugno e il 4 luglio e sorge immediatamente la questione dell’atteggiamento da tenere nei confronti della monarchia. Alla fine di luglio sopravviene la caduta del fascismo per crisi interna, e i partiti antifascisti si raccolgono in un Fronte nazionale d’azione, detto anche Comitato nazionale delle correnti antifasciste o più brevemente Comitato interpartiti, che tiene varie riunioni a Milano e a Roma. Viene riconosciuto quasi tacitamente un compito direttivo al Comitato romano presieduto da Ivanoe Bonomi, vecchio uomo politico prima socialista e poi liberale. Milano peraltro, dove si radunava una grande forza operaia ed erano molto sentiti i problemi sociali, non rinuncia mai a svolgere una funzione di stimolo. I tragici bombardamenti alleati dell’agosto 43 provocano un vivace dibattito interno al Comitato su una mozione che chiedeva la formazione di un governo democratico e la mobilitazione degli italiani contro i tedeschi.
L’armistizio dell’8 settembre sopraggiunge improvviso e inaspettato: il giorno seguente il Comitato interpartiti si trasforma in Comitato di liberazione nazionale e si presenta ufficialmente al paese. Ancora paralizzato da accesi dibattiti relativi al ruolo della monarchia e alla forma istituzionale da proporre per il futuro, il Comitato acquista maggiore incisività politica quando nel marzo 1944 torna in Italia Palmiro Togliatti, Segretario del Partito comunista italiano: con la “svolta di Salerno” egli si dichiara disposto a entrare nel governo presieduto da Badoglio, nel quadro monarchico tradizionale, rinviando a dopo la fine della guerra la questione istituzionale e chiamando invece tutte le forze antifasciste alla lotta contro i fascisti e i tedeschi che avevano occupato l’Italia.
A Milano all’inizio del 1944 si era costituito il CLN Alta Italia; nel Nord la lotta partigiana andava acquistando sempre maggior ampiezza e vigore, e nel marzo del 1944 era di nuovo scoppiato un grande sciopero nelle fabbriche, il più grande mai osato nell’Europa occupata dai nazisti. L’opera dei partiti democratici si fa più incisiva e importante. Anche i partiti che vi si erano opposti accettano ora la “ramificazione”, cioè la moltiplicazione dei CLN a tutti i livelli, locali e di fabbrica. Nota Arrigo Boldrini: “Intorno alla metà del ’44 si assistette a un indubbio successo di quelle forze e di quelle correnti che intendevano la Resistenza non solo come semplice lotta contro i nazifascisti o come ambizioso tentativo di inserirsi fra i vincitori dopo il conflitto, bensì come riscatto morale e civile di tutto un popolo dalla degradante dittatura durata un ventennio”.
Le varie forze politiche proseguono in forma unitaria e solidale la lotta contro il nazifascismo, ma continuano e si fanno più vivaci i dibattiti relativi al futuro politico dell’Italia, facendo emergere nettamente le divergenze fra i partiti del CLN. Nel marzo 1945, quando ormai si avverte vicino il crollo del nazifascismo e la fine della guerra, e gli Alleati riuniti a Jalta nel mese precedente hanno già provveduto alla definizione delle rispettive sfere di influenza, il fiorentino Medici Tornaquinci, inviato dal governo Bonomi e dagli alleati, arriva a Torino portando una specie di ultimatum: i CLN devono garantire che alla fine della guerra le formazioni partigiane si sciolgano subito e gli stessi CLN cessino di svolgere ogni funzione politica o amministrativa. L’ultimatum dimostrava il chiaro intento degli angloamericani di esautorare la Resistenza, sia sul piano militare che su quello politico, per timore che le forze di sinistra che l’avevano animata e sostenuta prendessero il sopravvento in un paese che a Jalta era stato destinato alla sfera di influenza occidentale. Non esisteva alcuna possibilità di opporsi all’ultimatum. E opposizione non vi fu.