Le Brigate d’assalto Garibaldi sono le formazioni organizzate dal Partito comunista italiano per condurre la guerra partigiana sul territorio nazionale; sono peraltro aperte a tutti gli antifascisti, di qualunque fede politica o religiosa. Costituiscono numericamente il nerbo della Resistenza militare italiana, con 575 brigate operanti in tutte le zone occupate dai tedeschi. Vengono chiamate “Garibaldi” perché la loro azione si iscrive nelle tradizioni popolari e nazionali italiane, dai garibaldini del Risorgimento alla Brigata Garibaldi che pochi anni prima aveva combattuto in Spagna in difesa della Repubblica. “D’assalto” perché “create per l’azione armata, per l’assalto, per l’attacco audace… perché si danno un’organizzazione e una disciplina di ferro, adeguate ai compiti che si pongono”, come scrive il loro comandante Luigi Longo.
L’atto di nascita ufficiale risale al novembre 1943, ma fin dall’agosto precedente i dirigenti comunisti avevano posto il problema dell’organizzazione della resistenza armata, consapevoli della minaccia che incombeva sul paese per l’evidente atteggiamento aggressivo degli allora ancora alleati tedeschi. Già nel settembre 1943 nascono le prime unità in Friuli, in Valtellina, in Piemonte. Fin dall’inizio vengono costituite come formazioni agili, in grado di ottenere successi con mezzi ridotti, di attaccare e sfuggire agilmente ai contrattacchi del nemico; la base è costituita da nuclei di cinque o sei combattenti; due nuclei costituiscono una squadra; quattro o cinque squadre costituiscono un distaccamento, forte quindi di 40-50 uomini. Quattro o cinque distaccamenti formano una brigata, che può comprendere da poco più di cento a circa trecento combattenti. Le unità di un territorio fanno capo a una delegazione regionale, che a sua volta risponde a un comando generale, dove comandante è Luigi Longo e commissario politico Pietro Secchia. Bisogna evitare sia le tentazioni dell’attesismo e dell’inerzia militare e politica, sia l’avventurismo spericolato: l’esperienza dei militanti comunisti nella guerra di Spagna permette loro di fare scelte aderenti alla realtà della guerriglia, che si riflettono su tutto il movimento partigiano.
Lo “Schema di organizzazione” del maggio 1944 disegna nitidamente la struttura della brigata: a capo vi stanno, sullo stesso piano, il comandante e il commissario politico. Il primo è responsabile della preparazione militare, dell’istruzione nell’uso delle armi, della fissazione degli obiettivi, della realizzazione delle operazioni. Il commissario politico cura la preparazione politica e il morale dei volontari, la disciplina, i buoni rapporti con la popolazione, la propaganda e l’agitazione in generale. Nelle zone libere il commissario politico diventa il fulcro per la formazione delle autogestioni amministrative, in base agli ordini del giorno diramati dal comando delle Brigate Garibaldi rispettivamente il 10 e il 18 giugno 1944, che invitano a creare le Giunte popolari comunali cui devolvere tutte le questioni amministrative e di organizzazione civile delle comunità.
Accanto alle formazioni partigiane viene organizzato un efficiente servizio di staffette, normalmente giovani donne, che mantengono i contatti sia orizzontali fra le diverse formazioni che verticali, dal comando generale fino alle unità più lontane, nascoste e disperse. Le unità combattenti sono inoltre collegate, tramite l’organizzazione del Partito comunista, con le masse operaie delle città, che forniscono appoggio politico, apporto di uomini e mezzi di ogni tipo: armi e munizioni ma anche, attraverso i Gruppi di difesa della donna, alimentari, abbigliamento, assistenza medica per i feriti.
Gli elementi moderati del CLN e gli alleati angloamericani non vedevano con simpatia l’eccessiva presenza delle forze inquadrate dai comunisti, e cercarono di indebolire o almeno contenere l’influenza delle Brigate Garibaldi, negando sempre, per esempio, il rifornimento con aviolanci. Di fatto, la preoccupazione dei moderati era che la lotta antifascista non si configurasse come rivoluzione sociale. Inoltre, grazie alla presenza degli alleati nel nostro paese, i partiti antifascisti di ispirazione borghese erano sicuri di ottenere una funzione dirigente nell’assetto politico postbellico. “Ai partiti della classe operaia, che volevano cambiare la sostanza delle cose e imporre la volontà di una classe subalterna – come scrive Edio Vallini – non restava altra soluzione se non quella della guerra, senza esitazioni e facili umanitarismi”.
I caduti delle Brigate Garibaldi furono 42.000; i feriti, mutilati e invalidi, 18.000; Più di100 partigiani delle Garibaldi sono stati insigniti della medaglia d’oro al valor militare, 250 di medaglia d’argento; la maggior parte di loro ha avuto l’onorificenza alla memoria.