Come è noto nel Sud d’Italia non vi fu alcun fenomeno analogo alla lotta partigiana del Nord: la vicenda di Maschito, repubblica contadina e antifascista della Basilicata, non può quindi essere registrata come repubblica partigiana, ma si tratta certamente di un episodio che dimostra come i valori di libertà, democrazia e antifascismo non fossero certo estranei al popolo meridionale.
Fra l’8 e il 9 settembre, subito dopo l’annunzio dell’armistizio, il re Vittorio Emanuele III, la corte, Pietro Badoglio, lo stato maggiore dell’esercito e tutto l’apparato di governo fuggono da Roma e si rifugiano in Puglia. Il re si stabilisce a Brindisi e il governo “legittimo” di Badoglio si allea con quello militare alleato di occupazione: in un primo momento il raggio d’azione del governo badogliano si estende solo su quattro province, Lecce, Taranto, Bari e Brindisi, mentre su tutto il territorio meridionale si esercita l’autorità dell’AMGOT, il governo militare alleato per i territori occupati. Il Sud sarà integralmente riconsegnato all’amministrazione italiana nel febbraio del 1944.
La situazione del Meridione è drammatica. Alla povertà materiale, all’arretratezza culturale, all’incuria secolare delle classi dirigenti, ben descritti da Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato a Eboli”, si sommano ora i disastri della guerra. I nazisti in ritirata non lesinano neppure qui i massacri e le stragi: sulla linea ferroviaria Napoli-Potenza, il treno viene bloccato in una galleria in cui viene immesso gas velenoso, uccidendo tutti i 500 passeggeri.
La vita sociale è dominata da due principali attività: il mercato nero e la prostituzione. Ma non per caso. Gli Alleati emettono una enorme quantità di moneta, le AM-lire – circa 18 miliardi solo nell’anno 1943 – provocando una spoliazione indiretta a danno della popolazione civile. Inoltre la presenza dei magazzini militari alleati permette di accedere a merci di ogni genere – viveri, tessuti, medicine – che vengono rivenduti sul mercato nero a prezzi altissimi.
La presenza del governo “legittimo” di Badoglio e degli Alleati, con la conseguente sparizione indolore del regime fascista, favorisce la formazione di un ceto politico non antifascista, moderato e monarchico. Lo sviluppo dei partiti e dei sindacati resta molto limitato: l’elemento innovatore più forte è rappresentato dalle lotte nelle campagne, che iniziano come occupazione delle terre e rivolte.
Le rivolte non sono sconosciute al Sud: il ricordo del brigantaggio post-unitario è ancora presente e si salda con un nuovo brigantaggio legato al mercato nero e alla repressione esercitata dall’Amministrazione militare alleata contro gli strati più poveri e più colpiti dalla guerra. Ciò dà luogo a sommosse tanto violente e sanguinose quanto disorganizzate e inefficienti. A questo destino sfugge Maschito con la sua esperienza di repubblica contadina antifascista.
Maschito è un paese della provincia di Potenza, da cui dista circa 50 chilometri. Si trova in una zona collinare, fra i 400 e gli 800 metri sul livello del mare; l’attività più importante è la coltivazione del grano e delle viti da cui si ricava un vino pregiato, l’Aglianico. Il paese conta oggi circa 1.800 abitanti, mentre al censimento del 1936 ne denunciava 3.500. Gli abitanti sono di origine albanese: il primo nucleo era costituito da truppe inviate da Giorgio Skanderbeg, l’eroe nazionale albanese, nel 1467, in aiuto a Ferdinando la d’Aragona contro gli Angioini. Tale nucleo fu rafforzato dall’arrivo di altri coloni greco-albanesi a metà del XVI secolo.
Il paese aveva molto sofferto delle angherie e dei soprusi esercitati dai gerarchi fascisti. Il 15 settembre 1943, cioè una settimana esatta dopo l’armistizio, i fieri maschitesi si sollevano contro il regime fascista e contro la monarchia sabauda. Scintilla della rivolta è la presenza di alcuni ufficiali tedeschi nella casa del direttore del Consorzio agrario, il che fa temere l’arrivo dell’esercito tedesco in ritirata, con il suo seguito di stragi e assassini: pochi giorni prima a Rionero in Vulture erano state uccise 19 persone. Animatore del movimento è un contadino analfabeta, Domenico Bochicchio, il quale guida la popolazione all’assalto del Consorzio agrario; era questo il centro delle ruberie e dei soprusi dei gerarchi fascisti, che al momento del conferimento all’ammasso del grano e delle uve usavano truffare i contadini sottraendo qualche chilo di prodotto per ogni pesata. Inoltre nel Consorzio sono conservati beni indispensabili, quali scarpe e tessuti, concimi, oli minerali, macchine e attrezzi. Si tratta praticamente del fulcro economico del potere della cricca fascista che da vent’anni taglieggia i contadini poveri. Bochicchio, con il corteo dei compaesani, sceglie istintivamente il Consorzio, e non il Municipio o la Casa del fascio, come obiettivo della lotta. Il podestà viene deposto, e Bochicchio convoca un’assemblea che decide la decadenza di tutte le autorità fasciste e della monarchia, e proclama la repubblica contadina e antifascista.
Viene deliberata la formazione di un consiglio comunale e di una Giunta composta da Bochicchio e altre sei persone. In sede di assemblea, Bochicchio si mostra esitante e pensieroso; non ha alcuna preparazione di diritto, ma a filo di buon senso sa che bisogna mettere per iscritto quanto stanno deliberando. Purtroppo né lui né altri fra i presenti sono in grado di redigere verbali e firmare atti, perché i contadini sono tutti analfabeti o quasi. Bisogna poi farsi carico della gestione del Consorzio, e i pochi contadini che pure sono in grado di disegnare la propria firma non riuscirebbero certo a cavarsela con bolle, ricevute e tutta la burocrazia necessaria. I contadini allora, analfabeti ma saggi, si rivolgono a un compaesano, Giuseppe Guglielmucci, un medio proprietario terriero la cui famiglia era stata vicina ai socialisti. Guglielmucci accetta di fare il sindaco-notaio, nel senso che accetta la carica di sindaco, ma si limiterà a mettere per iscritto le decisioni prese dalla giunta; resterà in carica fino al 1946.
La preoccupazione più grande è quella di porre fine alle ruberie e alle illegalità di cui tanto avevano sofferto; al punto che un contadino verrà fucilato personalmente da Bochicchio per aver sottratto un sacco di scarpe. La giunta amministrativa organizza un’equa distribuzione dei viveri e di altri generi di prima necessità, e discute una nuova fiscalità improntata a criteri di giustizia.
Agli inizi di ottobre alcuni dirigenti della rivolta vengono arrestati per ordine del Comando alleato, ma sono liberati poco dopo. Di nuovo arrestati nel maggio 1944 e sottoposti a procedimento penale, vengono alla fine assolti e liberati.
Si tratta di un episodio che ci sembra degno di nota, in quanto fu sicuramente un’espressione antifascista e repubblicana, che dimostra con chiarezza quali fossero le aspirazioni del popolo italiano a una nuova organizzazione della vita pubblica, ispirata agli ideali del bene comune, della legalità e della giustizia sociale. E per questa ragione ci sembra che meriti di venir ricordata, come esempio di quel senso di dignità e di responsabilità di cui anche contadini miseri e analfabeti seppero dare prova di fronte alla storia.