Approvvigionamenti e alimentazione

La prima responsabilità delle amministrazioni civili o partigiane delle zone libere è il rifornimento di generi alimentari, per sfamare le popolazioni e le unità combattenti. L’Italia è divisa in due dalle Linea gotica, le strade e le ferrovie sono costantemente bombardate, le vie di scambio sono interrotte, i mercati disarticolati; il governo della Repubblica sociale italiana si dimostra del tutto incapace di organizzare i rifornimenti e di controllare il mercato nero. Resistono solo i mercati locali, alimentati dai contadini che si rifiutano di consegnare i loro prodotti all’ammasso fascista, dove venivano pagati a un prezzo inferiore ai costi di produzione. Prima cura delle amministrazioni libere è quella di fissare un prezzo ragionevole per il grano: l’ammasso lo pagava 300 lire al quintale, mentre a Torriglia e nell’Alto Tortonese il prezzo viene fissato a 500 lire, a 700 lire a Montefiorino e a 800 nelle Langhe.

Ma non sempre i prodotti sono reperibili entro le zone libere: per esempio, nella Carnia il territorio di alta montagna non permette una produzione cerealicola adeguata alle necessità di una popolazione di 90.000 persone; e inoltre le truppe nazifasciste hanno bloccato tutte le strade di accesso alla zona libera. Resta aperto l’itinerario attraverso la Val Meduno e il Monte Rest, una via impervia che si può percorrere solo a piedi o con i muli. Ed ecco che inizia la silenziosa epopea delle donne friulane, degne eredi delle portatrici del Carso nella prima guerra mondiale: ogni giorno 150 donne trasportano sacchi di cereali dalle lontane cascine emiliane fino alle loro case: sono retribuite con 50 lire al giorno e una parte del cereale che trasportano; a conti fatti, saranno 5.000 quintali. Certo non sono sole: dietro di loro c’è la solida organizzazione del Partito comunista, che organizza i rifornimenti, i percorsi e attrezza i posti di tappa dove rifocillarsi e riposare. Anche in Toscana le donne sono protagoniste degli scambi: dalle coste di Apuania portano a piedi fino alla Garfagnana il sale del loro mare, e lo scambiano con cereali, generi alimentari e medicine.

All’ammasso doveva venir consegnato anche il bestiame, che al prezzo ufficiale veniva pagato 9 lire al chilo, mentre al produttore costava 40 lire. Un capo di bestiame, che sul mercato valeva 25.000 lire, all’ammasso veniva pagato 4.000. L’obbligo di consegnare un terzo del bestiame manda in rovina i contadini poveri, i quali consideravano i partigiani i loro migliori alleati. Secondo i luoghi e le circostanze, i partigiani pagano la carne con denaro contante o con buoni, ma si presentano anche esperienze di collaborazione più interessanti: a Varzi, nel Pavese, i partigiani acquistano capi di bestiame che vengono dati in affitto ai contadini, i quali li usano per il lavoro dei campi: successivamente, quando ce ne sarà bisogno, il bestiame macellato verrà diviso a mezzadria per compensare i contadini del mantenimento e del rischio.

La carne è un alimento prezioso, e tutte le zone libere ne fissano il prezzo, il divieto di esportazione, la quantità da fornire ad ogni persona. Per esempio, in Valsesia le razioni quotidiane pro capite sono di 200 grammi di carne, 450 grammi di pane (la razione fascista era di 100 grammi), 300 grammi di riso, 20 grammi di grasso (burro o strutto), un quarto di litro di vino; periodicamente vengono distribuiti miele, marmellata e frutta. L’Alto Tortonese fornisce 200 grammi di carne, 600 grammi di pane e mezzo litro di vino al giorno per persona. La giunta di Montefiorino garantisce 300 grammi di burro al mese, 100 grammi d’olio, 500 grammi di zucchero, 500 grammi di sale, 200 grammi di marmellata e una non precisata quantità di pasta e formaggio grana. Tutto ciò mentre nelle città la fame morde in maniera drammatica, provocando manifestazioni e rivolte. In Val Maira, nel Cuneese, viene regolato perfino l’ammasso delle budella, che sono vendute a industrie fuori dalla valle. Sempre nel Cuneese, uno dei prodotti principali è il burro, che viene distribuito alla popolazione nella quantità di 250 grammi per persona al mese,al prezzo di 150 lire al chilo. Le eccedenze vengono fornite, in cambio di sale, al maquis francese con cui era stato siglato il patto di Barcellonette. Prematuro senz’altro vedervi un inizio del mercato comune europeo, ma è un chiaro esempio della collaborazione internazionale fra antifascisti.

Sempre sul fronte alimentare, è significativo lo sforzo delle amministrazioni libere per organizzare anche la produzione: per esempio a Montefiorino, in vista del raccolto, viene fatto il censimento delle trebbiatrici disponibili in zona, che sono tredici. I partigiani disarmati vengono organizzati in squadre di volontari del lavoro, che aiutano i contadini a trebbiare, falciare il fieno e riattare le strade. La giunta fissa la tariffa della manodopera specializzata: ogni trebbiatore avrà 50 lire al giorno più il vitto, e sarà anche coperto da un contratto di assicurazione contro gli infortuni: è il primo caso in Italia.