La zona libera dell’Alto Tortonese comprende un ampio territorio montuoso situato in provincia di Alessandria, in Piemonte, con uno sconfinamento in Liguria, nell’alta Val Borbera, per un totale di circa 20.000 abitanti.
Vi opera la LVIII Brigata Garibaldi “Oreste” al comando di Aurelio Ferrando, “Scrivia”; commissario politico è Otello Pascolini, “Moro”, del Partito comunista. La brigata era forte di circa 300 uomini. Successivamente dalla “Oreste” si stacca una nuova brigata che prende il nome di “Arzani”, sotto il comando di Franco Anselmi, mentre commissario politico era un componente del CLN di Tortona, Mario Silla, “Curone”.
Nell’estate, quando c’era stato un ampio rastrellamento nazifascista, i podestà e i commissari prefettizi di nomina fascista erano spariti, lasciando le comunità del tutto prive di ogni servizio, neppure quello medico e scolastico. L’economia poi era totalmente dissestata ed erano irreperibili perfino i prodotti locali, grano o suini.
I commissari politici “Moro”, “Curone” e “Carlo”, con il delegato Andrea Gava, “Michele”, organizzano decine di riunioni in tutti i paesi e le frazioni, appoggiati dal CLN di Tortona. Il compito non è dei più facili: i contadini hanno paura delle rappresaglie fasciste e tedesche, e preferirebbero lasciare tutto nelle mani dei comandi partigiani. E’ dura da infrangere poi la barriera dell’individualismo, in lande montane dove lo Stato non è mai arrivato e la gente non ha mai appreso a pensare e agire in termini collettivi.
Il lavoro dei commissari ha un buon risultato: nelle settimane fra la metà di settembre e i primi di ottobre in ogni paese vengono elette le Giunte popolari comunali, integrate da rappresentanti di ogni frazione, nella misura di uno ogni 20 famiglie; neppure la più piccola comunità resta senza rappresentanza.
La prima preoccupazione, come in tutte le zone libere, è il vettovagliamento: le Giunte comunali fanno effettuare il censimento dei suini e decidono di riservare una parte di carne e grasso per la popolazione residente. Acquistano dei capi di bestiame, che vengono macellati e venduti in macellerie comunali a prezzo ragionevole. Le Giunte fissano anche il prezzo di legna, uova, grano, e riattivano il commercio con Tortona, Alessandria e altri centri importanti della zona. L’alimentazione migliora rapidamente e alla fine di ottobre le formazioni erano in grado di fornire a ogni partigiano una razione di 200 grammi di carne, 600 di pane e mezzo litro di vino al giorno. I partigiani vengono anche riforniti di nuove divise color cachi di tipo americano, cucite a Cabella in una sartoria organizzata da una partigiana.
Vengono riordinate le finanze comunali, ingiungendo il pagamento delle tasse, ad esclusione di quella tipicamente fascista sui celibi. Il denaro permette di riattivare i servizi comunali, in particolare il medico condotto e l’ostetrica, pagando ai dipendenti comunali degli stipendi debitamente aggiornati. A Rocchetta Ligure viene riattivato un piccolo ospedale preesistente.
All’inizio di ottobre è anche tempo di pensare alla ripresa dell’anno scolastico: vengono riattivate 20 scuole elementari nei diversi comuni, con sezioni sussidiarie nelle frazioni. Le Giunte provvedono ad allontanare i maestri dichiaratamente fascisti, e indicano i nuovi programmi, che vertono su italiano, storia e geografia. Si riescono ad aprire anche due scuole medie con professori sfollati dalle città. Le scuole di questo livello sono a pagamento, ma i ragazzi poveri vi vengono accolti gratis.
Purtroppo questa esperienza innovativa dura solo poco più di un mese: all’inizio di dicembre parte un nuovo rastrellamento nazifascista con il consueto carico di distruzioni e massacri, che arriva nei paesi dell’Alto Tortonese alla metà del mese. Il 14 i comandi diramano l’ordine di disperdersi in piccoli gruppi e di nascondersi nelle “buche”, come nell’Oltrepò. L’esperienza è terribile, ma malgrado disagi e congelamenti la brigata partigiana rimane compatta e dopo una decina di giorni i combattenti sono già in grado di uscire dai rifugi e riorganizzare la lotta.