Aldo Aniasi: Ne valeva la pena?

Uno dei protagonisti della Repubblica dell’Ossola, il comandante “Iso”, cioè Aldo Aniasi, poi diventato ministro della Repubblica italiana e per molti anni sindaco di Milano, quaranta anni dopo scrive un libro dal titolo eloquente: “Ne valeva la pena”. Molti se la sono posta, quella domanda, e le risposte sono arrivate presto. Già il colonnello Curreno Delle Torri traendo un bilancio in una relazione scritta subito dopo la fine della guerra, affermava con fermezza che se dal punto di vista militare la liberazione dell’Ossola si poteva considerare errata, era stata invece utile dal punto di vista politico: in primo luogo aveva costretto il nemico a concentrare notevoli forze “contro di noi, che allora eravamo solo quattro gatti”, togliendole da altri fronti in un momento molto delicato, favorendo perciò l’azione militare degli alleati; in secondo luogo, aveva attirato l’attenzione sia degli italiani, fascisti e antifascisti, sia degli alleati, sul movimento partigiano ormai tanto forte da potersi permettere di liberare delle zone e governarle in maniera democratica; e infine aveva incoraggiato coloro che ancora dubitavano, spingendoli a disertare dalle fila nazifasciste, o a sottrarsi ai bandi di reclutamento per le unità militari o per il lavoro civile.
Si spinge più a fondo l’analisi di Guido Petter, “Renzo”, allora giovanissimo partigiano della Decima Brigata “Rocco” e poi docente universitario. Coloro che combattevano nelle formazioni partigiane non intendevano solo cacciare i tedeschi e accelerare la fine della guerra; ma, sottolinea Petter,

erano anche animati dalla volontà di costruire uno Stato nuovo, non solo radicalmente diverso da quello fascista, ma diverso anche da quello prefascista, uno Stato fondato sulla libertà politica di tutti… sulla solidarietà, sul lavoro, su una maggiore giustizia sociale, sul diritto per tutti all’istruzione, sul rifiuto delle discriminazioni di sesso, di razza, di religione, sulla pace… Di queste cose si discuteva con frequenza nelle nostre formazioni garibaldine (e io stesso le affrontavo nel giornaletto di brigata scritto a macchina e diffuso in poche copie, di cui ero responsabile…).
Questi principi hanno ispirato la breve esperienza della repubblica ossolana e sono poi stati trasfusi nella nostra Costituzione. Ma non si tratta solo di un’eredità politica. Da quella esperienza ci è derivata anche una grande eredità morale: anzitutto la capacità di indignarsi di fronte al sopruso e all’ingiustizia: se allora si trattava dell’oppressione nazifascista, della persecuzione degli ebrei, dei saccheggi e delle stragi, oggi sono la corruzione, la violenza mafiosa, il razzismo; poi la capacità di reagire, mettendosi in moto spontaneamente, collegandosi, organizzandosi, trovando le forme di lotta più adatte ai tempi e alle circostanze: ieri la cospirazione, la via della montagna, oggi le autostrade immateriali di internet; e infine la costanza, la capacità di “non mollare” – un tempo il titolo di un giornale dell’antifascismo, diretto dai fratelli Rosselli – neppure quando tutto sembra perduto, senza smettere mai di operare e di resistere con tenacia e attiva fiducia.

E’ questa l’eredità fondamentale che ci giunge da quella ormai lontana esperienza: e in questo senso, “ne valeva la pena”.